Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia e diritti della persona - ARCHIVIO 2016-2020
Sezione curata da Gaetano D’Avino e Rossana Palladino
Sezione curata da Gaetano D’Avino e Rossana Palladino
DICEMBRE 2020
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 17 December 2020
(BY, in case C-398/19)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 17 dicembre 2020
(BY, causa C-398/19)
Nell’articolata sentenza in commento, la Grande Sezione ha dichiarato che il disposto degli articoli 18 e 21 TFUE risulti applicabile anche alla situazione di un cittadino dell’Unione europea, che abbia la cittadinanza di uno Stato membro, soggiorni nel territorio di un altro Stato membro e sia oggetto di una domanda di estradizione rivolta da uno Stato terzo allo Stato di residenza, anche qualora il soggetto interessato abbia ivi trasferito il centro dei propri interessi in un momento in cui non godeva ancora dello status di cittadino dell’Unione. La corretta interpretazione delle norme sopra richiamate non richiede, secondo la Corte, che i suddetti Stati membri (quello richiesto e quello “di cittadinanza” informato da quello richiesto) siano tenuti a richiedere allo Stato terzo di trasmettere una copia del fascicolo penale allo scopo di consentire allo Stato membro di a cittadinanza di valutare la possibilità di esercitare esso stesso l’azione penale nei confronti di del soggetto interessato. Purché abbia debitamente informato lo Stato membro “di cittadinanza” dell’esistenza della domanda di estradizione, di tutti gli elementi di diritto e di fatto comunicati dallo Stato terzo richiedente nell’ambito di tale domanda nonché di ogni cambiamento della situazione in cui la persona reclamata si trovi, e che sia quindi rilevante ai fini di un’eventuale emissione di un mandato d’arresto europeo nei suoi confronti, lo Stato membro richiesto può estradare detta persona senza essere tenuto ad attendere che lo Stato membro di cui il soggetto abbia la cittadinanza rinunci, con una decisione formale, all’emissione del suddetto mandato d’arresto, riguardante quantomeno i medesimi fatti menzionati nella richiesta di estradizione, se quest’ultimo Stato membro si astenga dal procedere alla summenzionata emissione entro un termine ragionevole che gli sia stato accordato a tal fine dallo Stato membro richiesto, tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie. In circostanze quali quelle sopra esposte, inoltre, come chiarito dalla Grande Sezione, lo Stato membro richiesto non è tenuto a rifiutare l’estradizione e ad esercitare esso stesso l’azione penale, allorché il suo diritto nazionale glielo consenta.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 17 December 2020
(European Commission v. Hungary, in case C-808/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 17 dicembre 2020
(Commissione europea c. Ungheria, causa C-808/18)
A conclusione di una procedura di infrazione, la Corte di giustizia acclara l’inadempimento dell’Ungheria degli obblighi incombenti in virtù della direttiva rimpatri (2008/115/CE) della direttiva procedure (2013/32/UE) e della direttiva accoglienza (2013/33/UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013. In particolare, gli obblighi discendenti da siffatte direttive risulta violato: - dalla previsione che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere presentate solo nelle zone di transito di Röszke (Ungheria) e Tompa (Ungheria), e adottando nel contempo una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito; - dalla istituzione di un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa, senza rispettare le garanzie previste all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché agli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33; - dal consentire l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115; - dal subordinare a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, del loro diritto di rimanere nel suo territorio.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 17 December 2020
(G.M.A. v. ètat belge, in case C-710/19)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 17 dicembre 2020
(G.M.A. c. ètat belge, causa C-710/19)
Nella sentenza in commento, la Corte ha precisato che l’art. 45 TFUE e l’art. 14, quarto paragrafo, lett. b), della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, debbano essere interpretati nel senso che lo Stato membro ospitante sia obbligato a concedere ad un cittadino dell'Unione un periodo di tempo ragionevole (la cui decorrenza inizia dal momento in cui questi si sia registrato quale soggetto in cerca di lavoro), al fine di consentirgli di conoscere le offerte di lavoro a lui adatte e di adottare le misure necessarie per essere assunto. Durante questo periodo, lo Stato membro ospitante può solo richiedere al cittadino europeo interessato di fornire la prova che egli stia cercando un lavoro; solo una volta trascorso tale periodo tale Stato membro può richiedere al soggetto interessato di dimostrare non solo che stia continuando a cercare un lavoro, ma anche che sussista una concreta possibilità di assunzione.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 10 December 2020
(M.S., M.W., G.S. v. Minister for Justice and Equality, in case C-616/19)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 10 dicembre 2020
(M.S., M.W., G.S. c. Minister for Justice and Equality, causa C-616/19)
L’articolo 25, paragrafo 2, della direttiva 2005/85/CE non osta alla normativa di uno Stato membro – al quale si applica il regolamento (UE) n. 604/2013 (regolamento Dublino) ma che non è vincolato dalla direttiva 2013/32/UE (direttiva procedure) – secondo cui una domanda di protezione internazionale è considerata irricevibile qualora il richiedente benefici dello status di protezione sussidiaria in un altro Stato membro.
NOVEMBRE 2020
Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 25 November 2020
(Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) v. Ws, in case C-302/19)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 25 novembre 2020
(Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) c. Ws, causa C-302/19)
L’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/CE, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico, osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del titolare di un permesso unico che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese terzo, poiché essa genera una disparità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro.
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Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 25 November 2020
(Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) v. VR, in case C.303/19)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 25 novembre 2020
(Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) c. VR, causa C-303/19)
L’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva sui soggiornanti di lungo periodo (direttiva 2003/109/CE) osta a una normativa di uno Stato membro che, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non prende in considerazione i familiari del soggiornante di lungo periodo che non risiedano nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese terzo, creando una disparità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro. Ciò qualora tale Stato membro non abbia espresso, in sede di recepimento di detta direttiva nel diritto nazionale, la propria intenzione di avvalersi della deroga alla parità di trattamento consentita dall’articolo 11, paragrafo 2, della medesima direttiva.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 24 November 2020
(R.N.N.S. (C‑225/19), K.A. (C‑226/19) c. Minister van Buitenlandse Zaken)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 novembre 2020
(R.N.N.S. (C‑225/19), K.A. (C‑226/19) c. Minister van Buitenlandse Zaken)
Il regolamento (CE) n. 810/2009 che istituisce un codice comunitario dei visti (in particolare, l’articolo 32, paragrafi 2 e 3), letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, da un lato, impone allo Stato membro che ha adottato una decisione definitiva di rifiuto di rilascio di un visto sul fondamento dell’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), sub vi), del regolamento n. 810/2009, a causa di un’obiezione al rilascio del visto sollevata da un altro Stato membro, di indicare, in tale decisione, l’identità dello Stato membro che ha sollevato siffatta obiezione, il motivo specifico di rifiuto basato su questa obiezione, corredato, se del caso, del contenuto essenziale dei motivi di detta obiezione nonché l’autorità alla quale il richiedente il visto può rivolgersi per conoscere i mezzi di ricorso disponibili in questo altro Stato membro. Dall’altro lato, qualora un ricorso sia proposto contro la stessa decisione sul fondamento dell’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento n. 810/2009, i giudici dello Stato membro che ha adottato quest’ultima decisione non possono esaminare la legalità sostanziale dell’obiezione al rilascio del visto sollevata da un altro Stato membro.
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Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 19 November 2020
(ZW, in case C-454/19)
Sentenza della Corte di giustizia (Quarta Sezione) del 19 novembre 2020
(ZW, causa C‑454/19)
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia ha sancito che la corretta interpretazione dell’art. 21 TFUE osti all’applicazione di una norma penale nazionale – imperniata sulla figura tipica del reato di sottrazione internazionale di minore – che punisca il genitore che non consegni, al curatore designato (così come all’altro genitore od al tutore), il proprio figlio che si trovi in un altro Stato membro, anche allorquando tale condotta non venga attuata con ricorso alla forza, con inganno o con minaccia di grave danno, laddove, quando invece il minore si trovi nel territorio nazionale, sia richiesta, per la punibilità del fatto, la sussistenza delle richiamate circostanze ulteriori. La Corte ha ritenuto di non poter quindi considerare meritevole l’argomentazione difensiva sostanzialmente fondata sulla presunzione secondo cui sia impossibile od eccessivamente difficile ottenere il riconoscimento, in un altro Stato membro, di una decisione giudiziaria relativa all’affidamento di un minore ed il suo rientro immediato; tanto, infatti, per espressa affermazione dei Giudici di Lussemburgo, equivarrebbe ad assimilare gli Stati membri a Stati terzi.
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Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 19 November 2020
(EZ v. Bundesrepublik Deutschland, in case C‑238/19)
Sentenza della Corte di giustizia (Sesta Sezione) del 19 novembre 2020
(EZ c. Bundesrepublik Deutschland, causa C‑238/19)
La Corte di giustizia ha chiarito, in via pregiudiziale, che l’articolo 9, par. 2, lett. e), della direttiva 2011/95, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, non osti, qualora la legislazione dello Stato di origine non garantisca facoltà di rifiuto di prestare servizio militare, alla possibilità di considerare accertato tale rifiuto nell’ipotesi in cui l’interessato non l’abbia formalizzato seguendo una determinata procedura e sia fuggito dal suo paese di origine senza presentarsi alle autorità militari. La stessa disposizione dev’essere interpretata, secondo la Corte, nel senso che, in un contesto di aperta guerra civile caratterizzato dalla commissione ripetuta e sistematica, da parte dell’esercito e mediante l’impiego di militari di leva, di crimini, reati od atti rilevanti ai sensi dell’articolo 12, par. 2, della medesima direttiva, sia corretto ritenere, anche in assenza di informazioni specifiche relative ai prevedibili impieghi del rifiutante, che lo svolgimento del servizio militare comporterebbe la partecipazione, diretta od indiretta, alla commissione di tali crimini. Se è vero poi, secondo i Giudici di Lussemburgo, che la corretta interpretazione dell’art. 9, par. 3, della direttiva 2011/95, imponga l’esistenza di un collegamento tra i motivi di cui all’articolo 10 e le azioni giudiziarie e le sanzioni penali di cui all’articolo 9, par. 2, lett. e), e che l’esistenza di un collegamento tra quest’ultima disposizione ed i motivi di cui all’art. 2 non possa dirsi accertata per il solo fatto che azioni giudiziarie e sanzioni penali siano ricollegate al rifiuto di prestare il servizio militare, tuttavia sussiste una forte presunzione che, in circostanze quali quelle indicate, tale rifiuto possa essere ricondotto ad uno dei cinque motivi indicati all’articolo 10; spetta poi alle autorità nazionali competenti verificare, alla luce di tutte le circostanze di cui trattasi, la plausibilità di tale collegamento.
OTTOBRE 2020
Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 8 October 2020
(MO v. Subdelegación del Gobierno en Toledo, in case C‑568/19)
Sentenza della Corte (Sesta Sezione) dell’8 ottobre 2020
(MO c. Subdelegación del Gobierno en Toledo, causa C‑568/19)
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia ha chiarito che la cd. direttiva rimpatri (direttiva 2008/115/CE) debba essere interpretata nel senso che, qualora una normativa nazionale preveda l’imposizione o di una sanzione pecuniaria o dell’allontanamento – misura quest’ultima che può essere adottata soltanto in presenza di circostanze aggravanti riguardanti un cittadino di un paese terzo, che si aggiungano al soggiorno irregolare del medesimo – in caso di soggiorno irregolare, l’autorità nazionale competente non possa basarsi direttamente sulle disposizioni della direttiva in parola per adottare ed eseguire una decisione di rimpatrio, anche in assenza delle dette circostanze aggravanti.
SETTEMBRE 2020
Comunicazione della Commissione, Un nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo, Bruxelles, 23 settembre 2020, COM(2020) 609 final
Il piano programmatico della Commissione europea, ad esito di negoziazioni avviate dal 2016, mira a fissare un approccio globale, che contempla le politiche nei settori della migrazione, dell'asilo, dell'integrazione e della gestione delle frontiere.
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Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 9 settembre 2020
(JP c. Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides, causa C-651/19)
Letto alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, l’art. 46 della cd. direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE) non impedisce che una normativa di uno Stato membro assoggetti il ricorso contro una decisione di irricevibilità di una domanda ulteriore di protezione internazionale a un termine di decadenza di dieci giorni, inclusi i giorni festivi, a far data dalla notifica di una siffatta decisione, anche nell’ipotesi in cui, in mancanza di elezione di domicilio in tale Stato membro da parte del richiedente interessato, tale notifica sia effettuata presso la sede dell’autorità nazionale competente a esaminare tali domande. Ciò nel rispetto di alcune condizioni che spetta al giudice nazionale verificare: in primo luogo, i richiedenti devono informati del fatto che, in caso di mancata elezione di un domicilio ai fini della notifica della decisione relativa alla loro domanda, si presumerà che abbiano eletto domicilio a tal fine presso la sede di detta autorità nazionale; in secondo luogo, le condizioni di accesso di detti richiedenti a tale sede non devono rendere loro eccessivamente difficile ricevere le decisioni che li riguardano; in terzo luogo, deve essere assicurato entro il suddetto termine l’accesso effettivo alle garanzie processuali riconosciute dal diritto dell’Unione a coloro che richiedono protezione internazionale; infine va rispettato il principio di equivalenza.
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Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 3 settembre 2020
(UQ , SI c. Subdelegación del Gobierno en Barcelona, cause riunite C-503/19 e C-592/19)
Secondo la Corte di giustizia, è in contrasto con la direttiva relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (direttiva 2003/109/CE) la normativa di uno Stato membro ai sensi della quale un cittadino di un paese terzo può vedersi negato lo status di soggiornante di lungo periodo in tale Stato membro per il solo motivo che ha precedenti penali, senza un esame specifico della sua situazione per quanto riguarda, in particolare, la natura del reato che ha commesso, il pericolo che egli può rappresentare per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, la durata del suo soggiorno nel territorio di tale Stato membro e l’esistenza di legami con quest’ultimo.
AGOSTO 2020
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
LUGLIO 2020
Judgment of the Court (Third Chamber) of 16 July 2020
(B.M.M. (C‑133-19 e C‑136/19), B.S. (C‑133/19), B.M. (C‑136/19), B.M.O. (C‑137/19) v. Belgium)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 16 luglio 2020
(B.M.M. (C‑133-19 e C‑136/19), B.S. (C‑133/19), B.M. (C‑136/19), B.M.O. (C‑137/19) c. Stato belga)
Ai fini del ricongiungimento familiare, la data a cui occorre fare riferimento per determinare se un cittadino di un paese terzo o un apolide non coniugato sia un figlio minorenne - ai sensi dell’art. 4, par. 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86/UE - è quella in cui è presentata la domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare per figli minorenni e non quella in cui le autorità competenti di tale Stato membro statuiscono su tale domanda. L’art. 18 della direttiva 2003/86, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il ricorso avverso il rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un figlio minorenne sia dichiarato irricevibile per il solo motivo che il figlio è divenuto maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 16 July 2020
(Data Protection Commissioner v. Facebook Ireland Ltd, Maximillian Schrems, in case C‑311/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 16 luglio 2020
(Data Protection Commissioner c. Facebook Ireland Ltd, Maximillian Schrems, causa C‑311/18)
Rientra nell’ambito di applicazione del cd. Regolamento generale sulla protezione dei dati (regolamento (UE) 2016/679) un trasferimento di dati personali effettuato a fini commerciali da un operatore economico stabilito in uno Stato membro verso un altro operatore economico stabilito in un paese terzo, nonostante il fatto che, durante o in seguito a tale trasferimento, i suddetti dati possano essere sottoposti a trattamento da parte delle autorità del paese terzo considerato a fini di sicurezza pubblica, di difesa e sicurezza dello Stato. Inoltre, la Corte di giustizia ritiene che le garanzie adeguate, i diritti azionabili e i mezzi di ricorso effettivi richiesti dall’art. 46 di suddetto regolamento devono garantire che i diritti delle persone i cui dati personali sono trasferiti verso un paese terzo sul fondamento di clausole tipo di protezione dei dati godano di un livello di protezione sostanzialmente equivalente a quello garantito all’interno dell’Unione da tale regolamento, letto alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A tal fine, la valutazione del livello di protezione garantito nel contesto di un trasferimento siffatto deve, in particolare, prendere in considerazione tanto le clausole contrattuali convenute tra il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento stabiliti nell’Unione e il destinatario del trasferimento stabilito nel paese terzo interessato quanto, per quel che riguarda un eventuale accesso delle autorità pubbliche di tale paese terzo ai dati personali così trasferiti, gli elementi rilevanti del sistema giuridico di quest’ultimo, in particolare quelli enunciati all’articolo 45, par. 2. Infine, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lettere f) e j), del regolamento 2016/679, a meno che esista una decisione di adeguatezza validamente adottata dalla Commissione europea, l’autorità di controllo competente è tenuta a sospendere o a vietare un trasferimento di dati verso un paese terzo effettuato sulla base di clausole tipo di protezione dei dati adottate dalla Commissione, qualora detta autorità di controllo ritenga, alla luce del complesso delle circostanze proprie di tale trasferimento, che le suddette clausole non siano o non possano essere rispettate in tale paese terzo e che la protezione dei dati trasferiti richiesta dal diritto dell’Unione, segnatamente dagli articoli 45 e 46 di tale regolamento e dalla Carta dei diritti fondamentali, non possa essere garantita con altri mezzi, ove il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento stabiliti nell’Unione non abbiano essi stessi sospeso il trasferimento o messo fine a quest’ultimo. La Corte di giustizia accerta la validità della decisione 2010/87/UE della Commissione, relativa alle clausole contrattuali tipo per il trasferimento di dati personali a incaricati del trattamento stabiliti in paesi terzi, come modificata dalla decisione di esecuzione (UE) 2016/2297 della Commissione, del 16 dicembre 2016, mentre dichiara invalida la decisione di esecuzione (UE) 2016/1250 della Commissione, del 12 luglio 2016, a norma della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’adeguatezza della protezione offerta dal regime dello scudo UE-USA per la privacy.
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Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 16 July 2020
(Milkiyas Addis v. Bundesrepublik Deutschland, in case C‑517/17)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 16 luglio 2020
(Milkiyas Addis c. Bundesrepublik Deutschland, causa C‑517/17)
Contrasta con gli articoli 14 e 34 della cd. “direttiva procedure” (direttiva 2013/32/UE) la normativa nazionale in forza della quale la violazione dell’obbligo di dare al richiedente protezione internazionale la facoltà di sostenere un colloquio personale prima dell’adozione di una decisione di inammissibilità - basata sull’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva - non comporta l’annullamento di tale decisione e il rinvio della causa dinanzi all’autorità accertante, a meno che detta normativa consenta a tale richiedente, nell’ambito del procedimento di ricorso avverso la decisione di cui trattasi, di esporre di persona tutti i suoi argomenti contro detta decisione nel corso di un’audizione che rispetti le condizioni e le garanzie fondamentali applicabili, enunciate dall’articolo 15 della direttiva, e a meno che tali argomenti non siano atti a modificare la stessa decisione.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 2 July 2020
(WM v. Stadt Frankfurt am Main, in case C‑18/19)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 2 luglio 2020
(WM c. Stadt Frankfurt am Main, causa C‑18/19)
È consentito trattenimento di un cittadino di paesi terzi, il cui soggiorno è irregolare, in un istituto penitenziario ai fini dell’allontanamento, separato dai detenuti ordinari, per il motivo che egli costituisce una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società o per la sicurezza interna o esterna dello Stato membro interessato; siffatto tipo di trattenimento non è, infatti, in contrasto con l’art.16, par. 1, della cd. “direttiva rimpatri” (direttiva 2008/115/CE).
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Judgment of the Court (Third Chamber) of 9 July 2020
(VQ c. Land Hessen, in case C‑272/19)
Sentenza della Corte (Terza Sessione) del 9 luglio 2020
(VQ c. Land Hessen, in case C‑272/19)
L’articolo 4, punto 7, del cd. “regolamento generale sulla protezione dei dati” (regolamento (UE) 2016/679), deve essere interpretato nel senso che, nella misura in cui una commissione per le petizioni del parlamento di uno Stato federato di uno Stato membro determini, singolarmente o insieme ad altri, le finalità e i mezzi del trattamento, tale commissione deve essere qualificata come «titolare del trattamento», ai sensi della suddetta disposizione, cosicché il trattamento di dati personali effettuato da una simile commissione ricade nell’ambito di applicazione di tale regolamento, segnatamente del suo articolo 15.
GIUGNO 2020
Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 25 June 2020
(VL, in case C‑36/20 PPU)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 25 giugno 2020
(VL, causa C‑36/20 PPU)
Il giudice istruttore che si pronuncia sul trattenimento di un cittadino di paese terzo irregolare, in qualità di “altra autorità” ai sensi dell’art. 6, par. 1, comma 2, della direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE), deve sia informare i cittadini di paesi terzi in situazione irregolare delle modalità di inoltro di una domanda di protezione internazionale, sia trasmettere il fascicolo all’autorità competente ai fini della registrazione della domanda di protezione internazionale ai fini del beneficio delle condizioni materiali di accoglienza e dell’assistenza sanitaria previste all’articolo 17 della direttiva accoglienza (direttiva 2013/33/UE). La Corte di giustizia precisa anche che un cittadino di un paese terzo in situazione irregolare, che abbia manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale dinanzi a un’«altra autorità», non può essere trattenuto per un motivo diverso da quelli previsti all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2013/33.
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Judgment of the Court (Third Chamber) of 18 June 2020
(Ryanair Designated Activity Company v. Országos Rendőr-főkapitányság, in case C‑754/18)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 18 giugno 2020
(Ryanair Designated Activity Company c. Országos Rendőr-főkapitányság, causa C‑754/18)
Il cittadino di un paese terzo, che sia familiare di un cittadino dell’UE e titolare della carta di soggiorno permanente di cui all’art. 20 della direttiva 2004/38/CE, è esonerato dall’obbligo di ottenere il visto per fare ingresso nel territorio degli Stati membri. È anche esonerato dall’obbligo di ottenere il visto quando tale carta sia stata rilasciata da uno Stato membro non appartenente allo spazio Schengen. Infine, la Corte di giustizia precisa che il possesso della carta di soggiorno costituisce prova sufficiente del fatto che il suo titolare ha la qualità di familiare di un cittadino dell’Unione, cosicché l’interessato ha diritto, senza che siano necessarie una verifica o una giustificazione supplementari, di fare ingresso nel territorio di uno Stato membro essendo esonerato dall’obbligo di visto in forza dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva.
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Judgment of the Court (Nine Chamber) of 11 June 2020
(WT v. Subdelegación del Gobierno en Guadalajara, in case C‑448/19)
Sentenza della Corte (Nona Sezione) dell’11 giugno 2020
(WT c. Subdelegación del Gobierno en Guadalajara, causa C‑448/19)
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia ha sancito la posizione di antinomia, rispetto al diritto dell’Unione ed, in particolare, all’articolo 12 della direttiva 2003/109, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, di una norma interna, come interpretata dalla giurisprudenza nazionale con riferimento alla direttiva 2001/40, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, la quale disponga l’allontanamento di qualsiasi cittadino di un paese terzo, già titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata, che abbia commesso un reato punibile con una pena privativa della libertà di almeno un anno, senza prevedere alcun esame diretto a verificare se il soggetto interessato costituisca una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza e senza considerare la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, la sua età, le conseguenze per sé e per i suoi familiari, i suoi vincoli con lo Stato membro di soggiorno ovvero l’assenza di vincoli col proprio paese d’origine.
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Order of the Court (Tenth Chamber) of 4 June 2020
(FU, in case C‑554/19)
Ordinanza della Corte (Decima Sezione) del 4 giugno 2020
(FU, causa C‑554/19)
La Corte di giustizia ha precisato, in via pregiudiziale, che la corretta interpretazione dell’articolo 67, par. 2, TFUE, nonché degli articoli 22 e 23 del regolamento 2016/399 (cd. codice frontiere Schengen), non osti all’applicabilità di una normativa nazionale che conferisca, ai propri servizi di polizia, la competenza a verificare l'identità di qualsiasi persona, in una zona di trenta chilometri dalla propria frontiera terrestre rispetto a quella di altri “Stati Schengen”, al fine di impedire od interrompere l'ingresso od il soggiorno illegale nel proprio territorio ovvero di prevenire determinati reati che minaccino la sicurezza delle frontiere, indipendentemente dal comportamento della persona interessata e dall’esistenza di circostanze speciali; tanto a condizione che l’esercizio di tale competenza risulti delimitato in maniera sufficientemente dettagliata, in particolare circa l'intensità, la frequenza e la selettività dei controlli in questione, sì da garantire che esso non finisca per produrre un effetto equivalente a quello dei vietati controlli alle frontiere, circostanza che spetta al giudice di merito verificare.
MAGGIO 2020
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 14 May 2020
(FMS e FNZ, SA e SA junior v. Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság e Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság, in the joined cases C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 14 maggio 2020
(FMS e FNZ, SA e SA junior c. Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság e Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU)
La Corte di giustizia ha dichiarato che la corretta interpretazione dell’articolo 13 della direttiva 2008/115 (cd. direttiva rimpatri), letto alla luce dell'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, osti all’applicabilità di una norma nazionale che consenta di contestare la decisione di modifica del luogo di destinazione di un provvedimento di rimpatrio esclusivamente innanzi ad un’autorità amministrativa, senza che sia garantito all’interessato un successivo controllo giurisdizionale sulla legalità della decisione in questione. Osta, altresì, alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, ed in particolare dell’articolo 33 della direttiva 2013/32 (cd. direttiva procedure), una legge nazionale che consenta di respingere, per irricevibilità, una domanda di protezione internazionale, in ragione della circostanza che il richiedente sia giunto da uno Stato in cui non fosse esposto a persecuzioni o ad un rischio di danno grave o in cui non gli fosse garantito un adeguato grado di protezione. Ai sensi della direttiva appena menzionata, letta in combinato disposto con l'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali e col principio di leale cooperazione di cui all'articolo 4, paragrafo 3, TUE, qualora una domanda di asilo sia stata oggetto di una decisione di rigetto, già confermata da una decisione giudiziaria definitiva, il successivo indiretto accertamento della sua antinomia col diritto dell’Unione costituisce – ha precisato la Corte – un “nuovo elemento” ai fini dell’esame di una domanda di protezione internazionale; la disposizione “censurata” come sopra non può inoltre essere applicata ad una richiesta successiva, ai sensi dell'articolo 2, lettera q), di detta direttiva, ovvero quando venga in rilievo a titolo incidentale nel corso di procedimenti pendenti. Nella medesima articolata sentenza la Corte ha anche osservato che, ai sensi della summenzionata direttiva 2008/115 e di quella 2013/33 (cd. direttiva accoglienza), l’imposizione ad un cittadino di un paese terzo dell’obbligo di restare permanentemente in una zona di transito il cui perimetro sia ristretto e chiuso, all’interno del quale i suoi movimenti siano limitati e monitorati, senza che egli possa partire volontariamente, rischi di assumere i caratteri di una privazione della libertà, caratteristica della “detenzione”. Su questo sfondo, la Corte ha sancito che l’articolo 43 della direttiva 2013/32 non autorizzi la detenzione di un richiedente protezione internazionale in una zona di transito per un periodo superiore a quattro settimane. Si pone poi in posizione di netto contrasto con la corretta interpretazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 una normativa nazionale che imponga il trattenimento di un richiedente protezione internazionale per il solo motivo che egli non possa autonomamente provvedere alle proprie necessità, che disponga inoltre la detenzione senza che la preventiva adozione di una decisione motivata in tal senso e senza un esame della necessità e proporzionalità di tale misura, che non garantisca infine un successivo controllo giurisdizionale al riguardo. D’altra parte, l’articolo 9 della summenzionata direttiva deve essere interpretato, secondo la Corte, nel senso che non imponga agli Stati membri di fissare una durata massima per il mantenimento in stato di fermo, a condizione che la legislazione nazionale garantisca che la detenzione duri solo finché il motivo che la giustifichi resti attuale nonché che le correlate procedure amministrative siano svolte con diligenza. La sentenza in commento ha sancito ancora il contrasto, col diritto dell’Unione ed in particolare con l’articolo 15 della direttiva 2008/115, della previsione di una decisione che non assicuri le garanzie appena menzionate e che disponga il trattenimento di un cittadino di un paese terzo esclusivamente sulla base della circostanza che questi non disponga dei mezzi per dare autonomamente esecuzione ad una decisione di rimpatrio, consentendo peraltro la detenzione per un periodo superiore ai diciotto mesi. Infine, la Corte ha statuito, con risolutezza, che, in assenza di una disposizione nazionale che garantisca un controllo giurisdizionale sulla legalità di una decisione amministrativa che ordini la detenzione di richiedenti protezione internazionale o di cittadini di paesi terzi la cui domanda di asilo sia stata respinta, il principio del primato del diritto dell’Unione nonché il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, impongano al giudice nazionale di dichiararsi competente a pronunciarsi sulla legalità del suddetto provvedimento e gli conferiscano il potere di ordinare, se del caso, il rilascio immediato delle persone interessate. Nell’ipotesi in cui la detenzione illegittimamente disposta ai danni di un richiedente protezione internazionale sia terminata, l’articolo 26 della direttiva 2013/33 impone anche che il soggetto possa pretendere ed invocare, anche in sede giurisdizionale, il diritto di ottenere un’indennità finanziaria che gli consenta di trovare un alloggio, consentendosi al giudice nazionale anche di adottare provvedimenti provvisori al riguardo.
APRILE 2020
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 2 April 2020
(in case C-897/19 PPU, I.N., intervening parties Ruska Federacija)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 2 aprile 2020
(causa C‑897/19 PPU, I.N. con l’intervento di Ruska Federacija)
La Corte di giustizia ha chiarito che, in forza del combinato dell’articolo 36 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo e dell’articolo 19, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nell’ipotesi in cui uno Stato membro abbia concesso l’asilo ad un cittadino di uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA o AELS), che sia parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo e con il quale l’Unione abbia concluso un accordo di consegna, e venga successivamente richiesto, da parte di uno Stato terzo, in forza della Convenzione di Parigi del 1957, di concedere l’estradizione del soggetto in questione, in ragione della pendenza di un procedimento penale che abbia rappresentato l’elemento stesso preso in considerazione ai fini della concessione dell’asilo, detto Stato membro sia tenuto a verificare che l’esecuzione dell’estradizione non pregiudichi i diritti di cui al succitato articolo 19, par. 2, della Carta, tenendo in considerazione, quale «elemento particolarmente serio», proprio la concessione dell’asilo; in ogni caso, detto Stato richiesto è tenuto, prima di esaminare la domanda, ad informare lo Stato membro dell’Associazione di libero scambio e, qualora questo avanzi una richiesta in tal senso, a consegnare al medesimo il cittadino, conformemente alle disposizioni dell’accordo di consegna; tanto purché detto Stato dell’EFTA sia competente, in forza del proprio diritto nazionale, a perseguire il cittadino in questione per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale
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Judgment of the Court (Third Chamber) of 2 April 2020
(European Commission v. Republic of Poland, Hungary and Czech Republic, in joined cases C‑715/17, C‑718/17 and C‑719/17)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 2 aprile 2020
(Commissione europea c. Repubblica di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, cause riunite C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17)
Ad esito della procedura di infrazione relativa all’inadempimento degli obblighi assunti dagli Stati membri dell’UE sulla base delle decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601 del Consiglio che hanno istituito misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, specie gli obblighi di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale, la Corte di giustizia accerta la violazione di suddetti obblighi da parte di Repubblica di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, avendo essi omesso di indicare a intervalli regolari, e almeno ogni tre mesi, un numero adeguato di richiedenti protezione internazionale da ricollocare rapidamente nei propri territori.
MARZO 2020
Judgment of the Court (First Chamber) of 19 March 2020
(LH v. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, in case C-564/18)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 19 marzo 2020
(LH c. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, causa C‑564/18)
La cd. “direttiva procedure” (direttiva 2013/32/UE) non consente ad uno Stato membro di respingere una domanda di protezione internazionale con la motivazione che il richiedente è arrivato nel suo territorio attraversando uno Stato in cui non è esposto a persecuzioni o a un rischio di danno grave, o in cui è garantito un adeguato livello di protezione. Inoltre, l’art. 46 della direttiva, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, va interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che impartisce al giudice, investito di un ricorso avverso una decisione di diniego della domanda di protezione internazionale, un termine di otto giorni per pronunciarsi, qualora tale giudice non sia in grado di assicurare, entro tale termine, l’effettività delle norme sostanziali e delle garanzie processuali riconosciute al richiedente dal diritto dell’UE.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 19 March 2020
(PG c. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, in case C‑406/18)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 19 marzo 2020
(PG c. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, causa C‑406/18)
La Corte di giustizia, interpretando l’art. 46 della cd. “direttiva procedure” (direttiva 2013/32/UE) letto alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, ha ritenuto che la preclusione di riforma delle decisioni amministrative imposta da una normativa nazionale agli organi giurisdizionali non sia, in linea di principio, contraria al diritto dell’Unione; in caso di annullamento del provvedimento amministrativo, e conseguente rinvio del fascicolo all’autorità competente, occorre però che una nuova decisione conforme alla valutazione contenuta nella sentenza di annullamento venga adottata entro un breve termine; qualora un giudice nazionale abbia constatato inoltre che, in applicazione dei criteri previsti dalla direttiva 2011/95, il richiedente abbia diritto al riconoscimento della protezione internazionale, e però l’autorità amministrativa abbia successivamente adottato una decisione contraria, senza dimostrare a tal fine la sopravvenienza di nuovi elementi atti a giustificarla, detto giudice, qualora il diritto nazionale non gli conferisca alcun mezzo utile a far rispettare la sua sentenza, egli debba riformare tale decisione amministrativa e sostituirla con il proprio provvedimento, disapplicando, se del caso, la normativa nazionale che gli vieti di procedere in tal senso. Infine, la Corte ha ritenuto in linea di principio ragionevole, e conforme al diritto europeo, il suddetto termine di sessanta giorni, espressamente a condizione che il giudice incaricato «sia in grado di garantire, entro un termine siffatto, l’effettività delle norme sostanziali e delle garanzie procedurali riconosciute al richiedente dal diritto dell’Unione»; nell’ipotesi contraria, ancora una volta, il tribunale nazionale è tenuto a disapplicare la normativa nazionale che preveda tale termine, scaduto il quale esso è chiamato a rendere la propria decisione il più rapidamente possibile.
FEBBRAIO 2020
Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 27 February 2020
(Subdelegación del Gobierno en Ciudad Real v. RH., in case C-836/18)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 27 febbraio 2020
(Subdelegación del Gobierno en Ciudad Real c. RH., causa C-836/18)
Uno Stato membro non può respingere una domanda di ricongiungimento familiare introdotta dal cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione europea che non ha mai esercitato la sua libertà di circolazione, in base all’unico rilievo secondo cui detto cittadino dell’Unione non dispone, per se stesso e per il coniuge, di risorse sufficienti per non divenire un onere per il sistema nazionale di previdenza sociale, senza che si sia esaminato se sussiste, tra i due coniugi, un rapporto di dipendenza di natura tale che, in caso di diniego della concessione del ricongiungimento, il cittadino dell’Unione sarebbe costretto a lasciare il territorio dell’Unione europea complessivamente considerato e sarebbe in tal modo privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferiti dal suo status, ai sensi dell’art. 20 del TFUE. Non sussiste un rapporto di dipendenza, tale da giustificare la concessione di un diritto di soggiorno derivato, per la sola ragione che il cittadino di uno Stato membro, di maggiore età e che non abbia mai esercitato la propria libertà di circolazione, e il coniuge, di maggiore età e cittadino di un paese terzo, sono tenuti alla convivenza, in forza degli obblighi derivanti dal matrimonio secondo il diritto dello Stato membro di provenienza del cittadino dell’Unione europea.
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Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 5 February 2020
(Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid v. J. e a., in case C-341/18)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 5 febbraio 2020
(Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid c. J. e a., causa C-341/18)
L’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/399, cd. codice frontiere Schengen, dev’essere interpretato nel senso che, quando un marittimo, cittadino di un paese terzo, si imbarca su una nave ormeggiata da lungo tempo in un porto marittimo di uno Stato che fa parte dello spazio Schengen, al fine di effettuarvi un lavoro a bordo, prima di abbandonare tale porto su detta nave, un timbro di uscita dev’essere apposto sui documenti di viaggio di questo marittimo, quando la sua apposizione è prevista dal citato codice, non al momento dell’imbarco del medesimo, bensì quando il capitano della nave in questione informa le competenti autorità nazionali della partenza imminente di detta nave.
GENNAIO 2020
Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 22 January 2020
(AT v. Pensionsversicherungsanstalt, in case C‑32/19)
Sentenza della Corte di giustizia (Quarta Sezione) del 22 gennaio 2020
(AT c. Pensionsversicherungsanstalt, causa C‑32/19)
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia, interrogata in via pregiudiziale, ha interpretato l’articolo 17, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 38/2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ed in particolare i requisiti richiesti per l’operatività della deroga al presupposto generale del previo soggiorno quinquennale, ai fini dell’ottenimento del diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante, nel senso che le circostanze di aver svolto, nello Stato in questione, la propria attività almeno negli ultimi dodici mesi e di avervi soggiornato in via continuativa per oltre tre anni, si applichino al caso di un lavoratore che, al momento in cui cessi la sua attività, abbia raggiunto l’età prevista dalla legislazione di tale Stato membro per godere di una pensione di vecchiaia.
DICEMBRE 2019
Judgment of the Court (First Chamber) of 5 December 2019
(Centraal Justitieel Incassobureau, Ministerie van Veiligheid en Justitie (CJIB), case C-671/18)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 5 dicembre 2019
(causa C-671/18, Centraal Justitieel Incassobureau, Ministerie van Veiligheid en Justitie (CJIB))
La Corte di giustizia precisa che l’art. 7, par. 2, lett. g), e l’art. 20, par. 3, della decisione quadro 2005/214/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI, devono essere interpretati nel senso che, qualora una decisione che infligge una sanzione pecuniaria sia stata notificata conformemente alla normativa nazionale dello Stato membro della decisione con l’indicazione del diritto di proporre ricorso e del termine per farlo, l’autorità dello Stato membro di esecuzione non può rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di tale decisione purché l’interessato abbia avuto un termine sufficiente per proporre un ricorso contro di essa, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, e che a tale proposito non rileva il fatto che il procedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria di cui trattasi fosse di tipo amministrativo. Inoltre, l’art. 20, par. 3, della decisione quadro 2005/214, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, deve essere interpretato nel senso che l’autorità competente dello Stato membro di esecuzione non può rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione che infligge una sanzione pecuniaria riguardante infrazioni stradali qualora tale sanzione sia stata inflitta alla persona a nome della quale il veicolo di cui trattasi è immatricolato sulla base di una presunzione di responsabilità prevista dalla normativa nazionale dello Stato membro della decisione, purché tale presunzione possa essere invertita.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 12 December 2019
(ZB, case C-627/19 PPU)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 12 dicembre 2019
(causa C-627/19 PPU, ZB)
Con tale sentenza la Corte di giustizia dichiara che la decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI, deve essere interpretata nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro la quale, mentre attribuisce la competenza ad emettere un mandato d’arresto europeo ai fini dell’esecuzione di una pena ad un’autorità che, pur partecipando all’amministrazione della giustizia di tale Stato membro, non è essa stessa un organo giurisdizionale, non prevede l’esistenza di un ricorso giurisdizionale distinto contro la decisione della suddetta autorità di emettere un tale mandato d’arresto europeo.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 12 December 2019
(JR e YC, in the joined cases C‑566/19 PPU e C‑626/19 PPU)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 12 dicembre 2019
(cause riunite C‑566/19 PPU e C‑626/19 PPU, JR e YC)
La Corte precisa che l’art. 6, par. 1, della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che rientrano nella nozione di «autorità giudiziaria emittente», ai sensi di tale disposizione, i magistrati della procura di uno Stato membro, incaricati dell’azione pubblica e collocati sotto la direzione e il controllo dei loro superiori gerarchici, qualora il loro status conferisca loro una garanzia di indipendenza, in particolare rispetto al potere esecutivo, nell’ambito dell’emissione del MAE. Inoltre, siffatta decisione quadro deve essere interpretata nel senso che i requisiti inerenti ad una tutela giurisdizionale effettiva di cui deve beneficiare una persona nei confronti della quale è emesso un MAE ai fini dell’esercizio di un’azione penale sono soddisfatti qualora, secondo la normativa dello Stato membro emittente, le condizioni per l’emissione di tale mandato e in particolare la sua proporzionalità siano oggetto di un sindacato giurisdizionale in detto Stato membro.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 12 December 2019
(XD, case C-625/19 PPU)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 12 dicembre 2019
(causa C-625/19 PPU, XD)
Con tale sentenza la Corte precisa che la decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, deve essere interpretata nel senso che i requisiti inerenti ad una tutela giurisdizionale effettiva di cui deve beneficiare una persona nei confronti della quale è emesso un mandato d’arresto europeo ai fini dell’esercizio di un’azione penale sono soddisfatti qualora, secondo la normativa dello Stato membro emittente, le condizioni per l’emissione di tale mandato e in particolare la sua proporzionalità siano oggetto di un sindacato giurisdizionale in detto Stato membro.
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Si segnala inoltre…
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Council conclusions on victims’ rights (2019/C 422/05), in OJ 422/5 of 16.12.2019, pages 5-8
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NOVEMBRE 2019
Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 20 November 2019
(X v. Belgische Staat, in case C‑706/18)
Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 20 novembre 2019
(X c. Belgische Staat, causa C‑706/18)
È in contrasto con la direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, la normativa nazionale che preveda che, nell’ipotesi di mancata adozione di una decisione entro sei mesi dal deposito della domanda di ricongiungimento familiare, le autorità nazionali competenti debbano rilasciare d’ufficio un permesso di soggiorno al richiedente, senza dover necessariamente accertare previamente se l’interessato soddisfi effettivamente le condizioni per soggiornare nello Stato membro ospitante conformemente al diritto dell’Unione.
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Regolamento (UE) 2019/1896 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2019, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e che abroga i regolamenti (UE) n. 1052/2013 e (UE) 2016/1624
Il Regolamento apporta modifiche all’istituto della guardia di frontiera e costiera europea, finalizzata a garantire una gestione europea integrata alle frontiere esterne, allo scopo di gestire tali frontiere efficacemente e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e aumentare l’efficienza della politica dei rimpatri dell’Unione.
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Order of the Court (Tenth Chamber) of 13 November 2019
(Bundesrepublik Deutschland v. Adel Hamed e Amar Omar, in the joined cases C‑540/17 and C‑541/17)
Ordinanza della Corte (decima sezione) del 13 novembre 2019
(Bundesrepublik Deutschland c. Adel Hamed e Amar Omar, cause riunite C‑540/17 e C‑541/17)
La Corte ha sancito che la corretta interpretazione dell’art. 33, par. 2, lett. a), della direttiva 2013/32, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, osti a che uno Stato membro si avvalga della facoltà, concessa da tale disposizione, di dichiarare irricevibile una domanda di protezione internazionale sul presupposto che il richiedente abbia già ottenuto lo status di rifugiato da un altro Stato membro, laddove le prevedibili condizioni di vita del soggetto interessato lo espongano ad un grave rischio di subire trattamenti disumani o degradanti ai sensi dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 12 November 2019
(Zubair Haqbin v. Federal agentschap voor de opvang van asielzoekers, in case C‑233/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 12 novembre 2019
(Zubair Haqbin c. Federal agentschap voor de opvang van asielzoekers, causa C‑233/18)
In conformità alla Direttiva accoglienza (Direttiva 2013/33/UE, in particolare art. 20, parr. 4 e 5) letta alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, uno Stato membro non può prevedere la revoca delle condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’art. 2, lett. f) e g) della direttiva stessa, quale sanzione per il richiedente protezione internazionale responsabile di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti. L’imposizione di altre sanzioni, in ogni caso, deve rispettare le condizioni fissata dal par. 5 dell’art. 20, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana. Nel caso di un minore non accompagnato, infine, tali sanzioni devono, essere adottate tenendo in particolare riguardo l’interesse superiore del minore, nel rispetto dell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 5 November 2019
(European Commission v. Republic of Poland, in case C-192/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 5 novembre 2019
(Commissione europea c. Polonia, causa C-192/18)
La Corte di giustizia dichiara l’inadempimento della Polonia agli obblighi incombenti in virtù dell’articolo 157 TFUE nonché della direttiva 2006/54/CE (in particolare articoli 5, lettera a), e 9, paragrafo 1, lettera f)) per aver introdotto nel proprio ordinamento una norma che stabilisce un’età per il pensionamento differente per le donne e per gli uomini appartenenti alla magistratura polacca. Inoltre, la Polonia, conferendo al Ministro della Giustizia il potere di autorizzare o meno la proroga dell’esercizio delle funzioni dei magistrati giudicanti dei tribunali ordinari polacchi al di là della nuova età per il pensionamento dei suddetti magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 19, par. 1, co. 2, del TUE.
OTTOBRE 2019
Judgment of the Court (Third Chamber) 3 October 2019
(X v. Belgische Staat, in case C‑302/18)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 3 ottobre 2019
(X c. Belgische Staat, causa C‑302/18)
Nell’interpretare l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109 relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, la Corte di giustizia ha stabilito che la nozione di «risorse» di cui a tale disposizione non riguarda unicamente le «risorse proprie» del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo, ma può anche comprendere le risorse messe a disposizione di tale richiedente da un terzo purché, tenuto conto della situazione individuale del richiedente interessato, siano considerate stabili, regolari e sufficienti.
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Judgment of the Court (First Chamber) 2 October 2019
(Ermira Bajratari v. Secretary of State for the Home Department, in case C-93/18)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 2 ottobre 2019
(Ermira Bajratari c. Secretary of State for the Home Department, causa C-93/18)
Un cittadino dell’Unione che sia minorenne dispone di risorse economiche sufficienti affinché non divenga un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno anche quando tali risorse provengono dai redditi derivanti dall’attività lavorativa svolta illegalmente da suo padre, cittadino di uno Stato terzo che non dispone di un titolo di soggiorno e di un permesso di lavoro in tale Stato membro. In tal modo la Corte interpreta l’art. 7, par. 1, lett. b) della direttiva 2004/38/CE.
SETTEMBRE 2019
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 24 September 2019
(GC and o. v. Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), in case C-136/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 settembre 2019
(GC e a. c. Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), causa C-136/17)
Nell’interpretare la direttiva 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, la Corte di giustizia afferma – tra l’altro – che, sebbene i diritti della persona prevalgano, di norma, sulla libertà di informazione degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno essere rimesso in discussione a seconda della natura dell’informazione di cui trattasi e del suo carattere sensibile per la vita privata della persona interessata, nonché dell’interesse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, in base al ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica. In particolare, la Corte ritiene che, in riferimento alle richieste di deindicizzazione di link verso una pagina internet nella quale sono pubblicati dati sensibili, è tenuto a verificare se l’inserimento di detto link nell’elenco dei risultati, visualizzato in esito ad una ricerca effettuata a partire dal nome della persona interessata, si riveli strettamente necessario per proteggere la libertà di informazione degli utenti di internet potenzialmente interessati ad avere accesso a tale pagina internet mediante una ricerca siffatta.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 24 September 2019
(Google LLC v. Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), in case C‑507/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 settembre 2019
(Google LLC c. Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), causa C‑507/17)
L’articolo 17, par. 1, del regolamento (UE) 2016/679, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, va interpretato nel senso che il gestore di un motore di ricerca è tenuto ad effettuare la deindicizzazione non in tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma nelle versioni di tale motore corrispondenti a tutti gli Stati membri, e ciò, se necessario, in combinazione con misure che, tenendo nel contempo conto delle prescrizioni di legge, permettono effettivamente di impedire agli utenti di internet, che effettuano una ricerca sulla base del nome dell’interessato a partire da uno degli Stati membri, di avere accesso, attraverso l’elenco dei risultati visualizzato in seguito a tale ricerca, ai link oggetto di tale domanda, o quantomeno di scoraggiare seriamente tali utenti.
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Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 19 September 2019
(Her Majesty’s Revenue and Customs v. Henrika Dakneviciute, in case C‑544/18)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 19 settembre 2019
(Her Majesty’s Revenue and Customs c. Henrika Dakneviciute causa C‑544/18)
I Giudici di Lussemburgo hanno statuito che l’articolo 49 TFUE debba essere interpretato nel senso che una donna che abbia cessato di esercitare un’attività autonoma a causa delle limitazioni fisiche connesse alle ultime fasi della gravidanza ed al periodo successivo al parto conservi la qualità di persona che esercita un’attività autonoma, purché, dopo la nascita del figlio, riprenda tale attività o trovi un’altra attività autonoma od un diverso impiego entro un periodo di tempo “ragionevole”.
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Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 19 September 2019
(Sociale Verzekeringsbank v. F. van den Berg and others, joined cases C-95/18 and C-96/18)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) 19 settembre 2019
(Sociale Verzekeringsbank c. F. van den Berg ed altri, cause riunite C-95/18 e C-96/18)
La Corte di giustizia ha dichiarato la compatibilità, con gli articoli 45 e 48 TFUE, di una norma nazionale ai sensi della quale un lavoratore migrante residente nel territorio di tale Stato membro, soggetto alla normativa previdenziale dello Stato membro di occupazione, in forza dell’articolo 13 del regolamento n. 1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi ed ai loro familiari che si spostino all’interno della Comunità, non sia assicurato ai fini del sistema previdenziale di detto Stato di residenza, anche qualora la normativa dello Stato membro di occupazione non conferisca a detto lavoratore alcun diritto ad una pensione di vecchiaia o agli assegni familiari. Viceversa, osta alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione – ed in particolare del summenzionato art. 13, che sancisce il principio generale, salve eccezioni, della soggezione alla legislazione di un solo Stato membro – l’applicabilità di una normativa o di una prassi dello Stato membro nel cui territorio risieda un lavoratore migrante, e che non risulti competente ai sensi di tale articolo, che subordini la concessione del diritto ad una pensione di vecchiaia ad un obbligo di assicurazione, che comporti il versamento di contributi obbligatori.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 10 September 2019
(Nalini Chenchooliah v. Minister for Justice and Equality, in case C-94/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 10 settembre 2019
(Nalini Chenchooliah c. Minister for Justice and Equality, causa C-94/18)
La Grande Sezione ha sancito l’applicabilità dell’art. 15 della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, e quindi l’invocabilità delle garanzie procedurali previste dagli artt. 30 e 31 della direttiva medesima, allorquando l’interessato voglia contestare un provvedimento di allontanamento, adottato nei confronti di un cittadino di uno Stato terzo per il motivo che questi non disponga del diritto di soggiorno ai sensi della direttiva in parola; tanto anche nelle fattispecie in cui tale soggetto si sia sposato con un cittadino dell’Unione, all’epoca in cui quest’ultimo si avvaleva della propria libertà di circolazione, recandosi e soggiornando con il suddetto cittadino di uno Stato terzo nello Stato membro ospitante, ed il cittadino dell’Unione in questione abbia, in seguito, fatto ritorno nello Stato membro di cui possieda la cittadinanza. L’adozione di un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino di un Paese terzo richiede, quindi, il riconoscimento delle suddette garanzie procedurali e non può essere, in ogni caso, accompagnata dalla disposizione del divieto d’ingresso nel territorio nazionale.
AGOSTO 2019
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
LUGLIO 2019
Judgment of the Court (Grand Chamber) 29 July 2019
(Alekszij Torubarov v. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, in case C-556/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 29 luglio 2019
(Alekszij Torubarov c. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, causa C-556/17)
Al fine di garantire al richiedente protezione internazionale una tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 47 della Carta e così interpretando l’art. 46, par. 3 della direttiva procedure (2013/32/UE), la Corte di giustizia ha affermato che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso il diniego di protezione internazionale adottato da un organo amministrativo o quasi giurisdizionale, in assenza di nuovi elementi sopravvenuti, è tenuto a riformare siffatta decisione non conforme alla sua precedente sentenza, e a sostituire alla stessa la propria decisione sulla domanda di protezione internazionale dell’interessato, disapplicando, se necessario, la normativa nazionale che gli vieterebbe di procedere in tal senso.
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Judgment of the Court (First Chamber) 29 July 2019
(Sumanan Vethanayagam, Sobitha Sumanan, Kamalaranee Vethanayagam v. Minister van Buitenlandse Zaken, in case C‑680/17)
Sentenza della Corte (prima sezione) del 29 luglio 2019
(Sumanan Vethanayagam, Sobitha Sumanan, Kamalaranee Vethanayagam c. Minister van Buitenlandse Zaken, causa C‑680/17)
Interpretando alcune previsioni del Codice comunitario dei visti, la Corte di giustizia stabilisce che non è consentito alla persona interessata presentare un ricorso in nome proprio contro una decisione di rifiuto di visto; inoltre, qualora esista un accordo bilaterale di rappresentanza in forza del quale le autorità consolari dello Stato membro rappresentante sono autorizzate ad adottare le decisioni di rifiuto di visto, spetta alle autorità competenti di tale Stato membro decidere sui ricorsi proposti contro una decisione di rifiuto di visto; infine, la previsione secondo cui il ricorso contro una decisione di rifiuto di visto deve essere proposto contro lo Stato rappresentante, è compatibile con il diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva.
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Regolamento (UE) 2019/1240 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativo alla creazione di una rete di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione, in GU L 198 del 25.7.2019
Il regolamento, che entrerà in vigore il 14 agosto 2019, stabilisce norme per rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra i funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione impiegati dagli Stati membri, dalla Commissione e dalle agenzie dell’Unione in paesi terzi, attraverso la creazione di una rete europea di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione.
GIUGNO 2019
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 24 June 2019
(European Commission v. Republic of Poland, in case C-919/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 giugno 2019
(Commissione europea c. Repubblica di Polonia, causa C-919/18)
La Corte accerta che la Polonia è venuta meglio agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del TUE, per aver previsto l’applicazione della misura consistente nell’abbassare l’età per il pensionamento dei giudici presso la Corte suprema ai giudici in carica nominati prima del 3 aprile 2018, nonché per aver attribuito al presidente della Repubblica il potere discrezionale di prorogare la funzione giudiziaria attiva dei giudici di tale organo giurisdizionale oltre l’età per il pensionamento di nuova fissazione.
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Judgment of the Court (Third Chamber) of 13 June 2019
(TopFit eV, Daniele Biffi v. Deutscher Leichtathletikverband eV, in case C-22/18)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 13 giugno 2019
(TopFit eV, Daniele Biffi c. Deutscher Leichtathletikverband eV, causa C-22/18)
La normativa di una federazione sportiva nazionale, in base alla quale un cittadino dell’Unione europea, cittadino di un altro Stato membro, che risieda da molti anni nel territorio dello Stato membro in cui tale federazione è stabilita e nel quale pratica la corsa a livello amatoriale nella categoria senior, non può partecipare ai campionati nazionali in tali discipline allo stesso titolo dei cittadini nazionali o può parteciparvi solo «come esterno» o «senza valutazione», senza aver accesso alla finale e senza poter ottenere il titolo di campione nazionale, contrasta con gli articoli 18, 21 e 165 del TFUE, a meno che detta normativa sia giustificata da considerazioni oggettive e proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito. Siffatta circostanza deve essere verificata dal giudice del rinvio.
MAGGIO 2019
Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 23 May 2019
(Mohammed Bilali v. Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl, in case C-720/17)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 23 maggio 2019
(Mohammed Bilali c. Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl, causa C-720/17)
Ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2011/95/UE (cd. Direttiva Qualifiche) uno Stato membro deve revocare lo status di protezione sussidiaria qualora lo abbia concesso senza che fossero soddisfatte le condizioni per tale concessione, basandosi su fatti che si sono successivamente rivelati errati, e sebbene non possa essere addebitato alla persona interessata di aver indotto in errore detto Stato membro in tale occasione.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 14 May 2019
(M v. Ministerstvo vnitra (C‑391/16), and X (C‑77/17), X (C‑78/17) v. Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 14 maggio 2019
(M c. Ministerstvo vnitra (C‑391/16), e X (C‑77/17), X (C‑78/17) c. Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides)
La Corte di giustizia esamina l’articolo 14 della direttiva 2011/95/UE (cd. Direttiva Qualifiche) – relativo alla revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato – e, in particolare i parr. da 4 a 6, ritenendo non sussistenti elementi tali da incidere sulla validità di tale disposizione alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
APRILE 2019
Judgment of the Court (Third Chamber) 11 April 2019
(Neculai Tarola v. Minister for Social Protection, in case C-483/17)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) dell’11 aprile 2019
(Neculai Tarola c. Minister for Social Protection, causa C-483/17)
Il cittadino europeo che abbia acquisito in un altro Stato membro la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38/CE, in virtù dell’attività da esso esercitata, su base giuridica diversa da un contratto a tempo determinato, per un periodo di due settimane, prima di trovarsi in stato di disoccupazione involontaria, conserva lo status di lavoratore per un periodo supplementare di almeno sei mesi ai sensi di tali disposizioni, purché si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente al fine di trovare un lavoro. Nello stabilire siffatto principio, la Corte di giustizia ha affermato che spetta al giudice del rinvio stabilire se, in applicazione del principio della parità di trattamento sancito all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il cittadino disponga, di conseguenza, del diritto di percepire prestazioni di assistenza sociale o, eventualmente, prestazioni previdenziali sulla stessa base di un cittadino dello Stato membro ospitante.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) 2 April 2019
(Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie v. H. e R., in joined cases C‑582/17 e C‑583/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 2 aprile 2019
(Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie c. H. e R., cause riunite C‑582/17 e C‑583/17)
Un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, che abbia poi lasciato tale Stato membro e abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro: - in linea di principio, non può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del cd. Regolamento Dublino III (n. 604/2013), nel secondo Stato membro avverso la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, il criterio di competenza enunciato all’articolo 9 del citato regolamento; - in via eccezionale, può invocare, nell’ambito di un simile ricorso, il succitato criterio di competenza, in una situazione coperta dall’articolo 20, paragrafo 5, del Regolamento Dublino III, laddove il suddetto cittadino di un paese terzo abbia trasmesso all’autorità competente dello Stato membro richiedente elementi che dimostrino in modo manifesto che quest’ultimo dovrebbe essere considerato lo Stato membro competente per l’esame della domanda in applicazione di detto criterio di competenza.
MARZO 2019
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 26 March 2019
(SM v. Entry Clearance Officer, UK Visa Section, in case C-129/18)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 marzo 2019
(SM c. Entry Clearance Officer, UK Visa Section, causa C-129/18)
Secondo la Corte di giustizia, la nozione di “discendente diretto” di un cittadino dell’UE ai sensi dell’art. 2, punto 2, lett c) della direttiva 2004/38/CE non ricomprende un minore sottoposto a kafala, in considerazione dell’assenza di un legame di filiazione. Tuttavia, la Corte precisa l’obbligo di “agevolazione” dell’ingresso e del soggiorno di tale minore da parte delle autorità nazionali, ai sensi dell’art. 3, par. 2, lett. a) della medesima direttiva, letto alla luce dell’art. 7 e dell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 19 March 2019
(Préfet des Pyrénées-Orientales v. Abdelaziz Arib, Procureur de la République près le tribunal de grande instance de Montpellier, Procureur général près la cour d’appel de Montpellier, in case C-444/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 19 marzo 2019
(Préfet des Pyrénées-Orientales c. Abdelaziz Arib, Procureur de la République près le tribunal de grande instance de Montpellier, Procureur général près la cour d’appel de Montpellier, causa C-444/17)
La direttiva 2008/115/CE (art. 2, par. 2, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 32 del regolamento (UE) 2016/399 (codice frontiere Schengen), non trova applicazione nel caso di un cittadino di un paese terzo, fermato nelle immediate vicinanze di una frontiera interna e il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, anche qualora tale Stato membro (nel caso di specie, la Francia) abbia ripristinato, ai sensi dell’articolo 25 di tale regolamento, il controllo a tale frontiera, in ragione di una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di detto Stato membro.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 19 March 2019
(Bashar Ibrahim and o. v. Bundesrepublik Deutschland and Bundesrepublik Deutschland v. Taus Magamadov, in joined cases C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 19 marzo 2019
(Bashar Ibrahim e a. c. Bundesrepublik Deutschland e Bundesrepublik Deutschland c. Taus Magamadov, cause riunite C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17)
Nell’interpretare varie disposizioni della direttiva 2013/32/CE (cd. direttiva procedure), la Corte di giustizia afferma, in particolare, che l’art. 33 consente agli Stati membri di respingere una domanda d’asilo come inammissibile senza che questi ultimi debbano o possano avvalersi in via prioritaria delle procedure di presa o ripresa in carico previste dal regolamento n. 604/2013. La medesima disposizione non impedisce che uno Stato membro eserciti la facoltà di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe sottoposto detto richiedente quale beneficiario di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro non lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La circostanza che i beneficiari di tale protezione sussidiaria non ricevano, in detto Stato membro, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatto prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un siffatto rischio solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale. Infine, non è neppure impedito allo Stato membro di esercitare tale facoltà qualora la procedura d’asilo nell’altro Stato membro che ha concesso al richiedente una protezione sussidiaria conduca a rifiutare sistematicamente, senza un esame effettivo, il riconoscimento dello status di rifugiato a richiedenti protezione internazionale.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 19 March 2019
(Abubacarr Jawo v. Bundesrepublik Deutschland, in case C-163/17)
Sentenza della Corte (Grande Camera) del 19 marzo 2019
(Abubacarr Jawo c. Bundesrepublik Deutschland, causa C-163/17)
Ai sensi del regolamento (UE) n. 604/2013 (cd. regolamento Dublino) un richiedente si considera “fuggito” qualora si sottragga deliberatamente alle autorità nazionali competenti per scongiurare l’esecuzione di un trasferimento, al fine di scongiurare quest’ultimo. Salvo dimostrazione contraria, si può presumere che ciò si verifichi quando il trasferimento non può essere eseguito a causa del fatto che il richiedente ha lasciato il luogo di residenza assegnatogli senza aver informato della sua assenza le autorità nazionali competenti, a condizione che egli sia stato informato dei suoi obblighi al riguardo. La Corte ritiene pure che l’articolo 29, par. 2, seconda frase, del regolamento Dublino vada interpretato nel senso che, al fine di prorogare il termine di trasferimento a un massimo di diciotto mesi, è sufficiente che lo Stato membro richiedente informi, prima della scadenza del termine di trasferimento di sei mesi, lo Stato membro competente del fatto che l’interessato è fuggito e contestualmente indichi il nuovo termine di trasferimento. Infine, l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali non osta a un trasferimento del richiedente protezione internazionale, a meno che il giudice investito del ricorso avverso la decisione di trasferimento non constati, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante per il richiedente a causa del fatto che, in caso di trasferimento, quest’ultimo si verrebbe a trovare, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.
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Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 19 April 2019
(Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie v. Y.Z. and o., in case C-557/17)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 19 aprile 2019
(Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie c. Y.Z. e a., causa C-557/17)
Qualora ai fini del rilascio di permessi di soggiorno ai familiari del cittadino di Pase terzo (ai sensi della direttiva 2003/86/CE) siano stati prodotti documenti falsificati, la circostanza che detti familiari non fossero a conoscenza del carattere fraudolento di tali documenti non impedisce allo Stato membro interessato di revocare i permessi di soggiorno. Tuttavia, le autorità nazionali competenti sono tenute ad effettuare un esame preliminare individualizzato della situazione di tali familiari, procedendo a una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco. Qualora i documenti falsificati abbiano fondato il riconoscimento dello status di soggiornante di lungo periodo (ai sensi della direttiva 2003/109/CE), la circostanza che i soggetti interessati non fossero a conoscenza del carattere fraudolento di tali documenti non osta a che lo Stato membro interessato proceda alla revoca di detto status.
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Judgment of the Court (Second Chamber) of 13 March 2019
(E. v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, in case C-635/17)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 13 marzo 2019
(E. c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C-635/17)
L’articolo 11, par. 2, della direttiva 2003/86/CE impedisce che – nel caso in cui una domanda di ricongiungimento familiare è stata presentata da una soggiornante, che beneficia dello status conferito dalla protezione sussidiaria, a favore di un minorenne di cui essa è la zia e asseritamente la tutrice, il quale risiede come rifugiato e senza vincoli familiari in un paese terzo – la domanda sia respinta per il solo motivo che la soggiornante non ha fornito i documenti ufficiali attestanti la morte dei genitori biologici del minorenne, e pertanto l’effettività dei propri vincoli familiari con il medesimo, e che la spiegazione fornita dalla soggiornante per giustificare la propria incapacità di produrre siffatti documenti è stata ritenuta non plausibile dalle autorità competenti, sulla semplice base delle informazioni generali disponibili relativamente alla situazione nel paese di origine, senza prendere in considerazione la situazione concreta della soggiornante e del minorenne, nonché le specifiche difficoltà che essi hanno dovuto affrontare, stando a quanto essi riportano, prima e dopo la fuga dal loro paese di origine.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 12 March 2019
(M.G. Tjebbes and o. v. Minister van Buitenlandse Zaken, in case C-221/17)
Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 12 marzo 2019
(M.G. Tjebbes e a. c. Minister van Buitenlandse Zaken, causa C-221/17)
L’articolo 20 TFUE, letto alla luce degli articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta a una normativa di uno Stato membro che prevede, a determinate condizioni, la perdita ipso iure della cittadinanza di tale Stato membro comportando, nel caso di persone che non sono in possesso anche della cittadinanza di un altro Stato membro, la perdita del loro status di cittadino dell’Unione europea. Tuttavia è necessario che siano valutate le conseguenze di tale perdita della cittadinanza e, eventualmente, far riacquistare ex tunc la cittadinanza agli interessati, in occasione della domanda, da parte dei medesimi, di un documento di viaggio o di qualsiasi altro documento comprovante la loro cittadinanza. Nell’ambito di siffatto esame, le autorità nazionali e gli organi giurisdizionali devono verificare se la perdita della cittadinanza dello Stato membro interessato, che comporta quella dello status di cittadino dell’Unione, rispetti il principio di proporzionalità con riferimento alle conseguenze che essa determina sulla situazione di ogni interessato e, se del caso, dei suoi familiari, sotto il profilo del diritto dell’Unione.
FEBBRAIO 2019
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
GENNAIO 2019
Judgment of the Court (First Chamber) 23 January 2019
(M.A., S.A., A.Z. v. International Protection Appeals Tribunal, Minister for Justice and Equality, Attorney General, Ireland, in case C‑661/17)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 23 gennaio 2019
(M.A., S.A., A.Z. c. International Protection Appeals Tribunal, Minister for Justice and Equality, Attorney General, Ireland, causa C‑661/17)
Tra le risposte ai quesiti pregiudiziali posti nella causa C-661/17, la Corte di giustizia ha stabilito che l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III va interpretato nel senso che la circostanza che uno Stato membro, determinato come «competente» ai sensi di detto regolamento, abbia notificato il proprio intento di recedere dall’Unione a norma dell’articolo 50 TUE non obbliga lo Stato membro che procede a tale determinazione ad esaminare direttamente, in applicazione della clausola discrezionale di cui a detto articolo 17, paragrafo 1, la domanda di protezione in parola.
DICEMBRE 2018
Judgment of the Court (Second Chamber) 13 December 2018
(Bundesrepublik Deutschland v. Touring Tours und Travel GmbH, Sociedad de Transportes SA, in joined cases C‑412/17 and C‑474/17)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 13 dicembre 2018
(Bundesrepublik Deutschland c. Touring Tours und Travel GmbH, Sociedad de Transportes SA, cause riunite C‑412/17 e C‑474/17)
L’articolo 67, paragrafo 2, TFUE nonché l’articolo 21 del cd. Codice frontiere Schengen (regolamento (CE) n. 562/2006) vietano allo Stato membro di adottare previsioni che impongano a qualsiasi impresa di trasporto a mezzo autobus che offra un servizio di linea transfrontaliero all’interno dello spazio Schengen con destinazione il territorio di tale Stato membro l’obbligo di controllare il passaporto e il titolo di soggiorno dei passeggeri prima dell’attraversamento di una frontiera interna, onde evitare il trasporto di cittadini di paesi terzi sprovvisti di tali documenti di viaggio verso il territorio nazionale, e che consenta alle autorità di polizia, al fine di far rispettare tale obbligo di controllo, di adottare una decisione che vieti siffatti trasporti, accompagnata da una minaccia di sanzioni pecuniarie nei confronti delle imprese di trasporto in capo alle quali sia stato accertato che hanno trasportato in tale territorio cittadini di paesi terzi sprovvisti di detti documenti di viaggio.
NOVEMBRE 2018
Judgment of the Court (Third Chamber) 21 November 2018
(Ahmad Shah Ayubi v. Bezirkshauptmannschaft Linz-Land, in case C-713/17)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 21 novembre 2018
(Ahmad Shah Ayubi c. Bezirkshauptmannschaft Linz-Land, causa C-713/17)
Una normativa nazionale non può prevedere che ai rifugiati beneficiari di un diritto di soggiorno temporaneo in uno Stato membro siano concesse prestazioni di assistenza sociale di importo inferiore a quello delle prestazioni riconosciute ai cittadini di tale Stato membro e ai rifugiati beneficiari di un diritto di soggiorno permanente nel medesimo Stato membro. Ciò è infatti precluso dall’art. 29 della direttiva 2011/95/UE (cd. direttiva qualifiche).
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Judgment of the Court (Grand Chamber) 13 November 2018
(Denis Raugevicius, in case C-247/17)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 13 novembre 2018
(Denis Raugevicius, causa C-247/17)
Nell’ipotesi in cui un paese terzo presenti domanda di estradizione, finalizzata non all’esercizio dell’azione penale ma all’esecuzione di una pena detentiva, di un cittadino dell’Unione europea che ha esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, lo Stato membro richiesto, il cui diritto nazionale vieti l’estradizione dei propri cittadini al di fuori dell’Unione ai fini dell’esecuzione di una pena e preveda la possibilità che una siffatta pena irrogata all’estero sia scontata nel suo territorio, in virtù degli artt. 18 e 21 del TFUE è tenuto a garantire a tale cittadino dell’Unione, purché sia residente in modo permanente nel suo territorio, un trattamento identico a quello accordato ai propri cittadini in materia di estradizione.
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Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 13 novembre 2018
(X, X c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, cause C-47/17 e C-48/18)
Nell’interpretare alcune disposizioni del regolamento di applicazione del Regolamento Dublino, la Corte di giustizia ha stabilito che, nell’ambito della procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, lo Stato membro investito di una richiesta di presa o di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 21 o dell’articolo 23 del regolamento (UE) n. 604/2013, il quale, dopo aver proceduto alle verifiche necessarie, abbia risposto negativamente alla stessa entro i termini previsti e che abbia successivamente ricevuto una domanda di riesame a norma dell’art. 5, paragrafo 2, del regolamento di applicazione deve, entro un termine di due settimane, procurare di rispondere a tale domanda, in uno spirito di leale cooperazione. Se lo Stato membro richiesto non risponde alla domanda stessa entro tale termine di due settimane, la procedura aggiuntiva di riesame è definitivamente chiusa e di conseguenza lo Stato membro richiedente dev’essere considerato competente ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale, salvo che disponga ancora del tempo necessario per poter presentare, entro i termini improrogabili previsti a tal fine dall’articolo 21, paragrafo 1, e dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, una nuova richiesta di presa o di ripresa in carico.
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Judgment of the Court (Third Chamber) 7 November 2018
(K v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, in case C-484/17)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 7 novembre 2018
(K c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C-484/17)
La Corte di giustizia ritiene che l’art. 15, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, non osta a una normativa nazionale che consente di respingere una domanda di permesso di soggiorno autonomo, presentata da un cittadino di un paese terzo che abbia soggiornato per più di cinque anni nel territorio di uno Stato membro ai fini del ricongiungimento familiare, per il motivo che esso non ha dimostrato di aver superato un esame di integrazione civica vertente sulla lingua e sulla società di tale Stato membro. Tuttavia, la Corte ritiene che ciò sia ammissibile a condizione che le modalità concrete dell’obbligo di superare tale esame non vadano oltre quanto necessario per conseguire l’obiettivo di facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
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Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 7 novembre 2018
(K, B c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C‑380/17)
Dichiarata la propria competenza ad interpretare l’art. 12, par. 1, della direttiva 2003/86, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, nei casi in cui il giudice a quo sia chiamato a pronunciarsi sull’invocazione del diritto in questione da parte di un beneficiario dello status conferito dalla protezione sussidiaria, qualora la richiamata disposizione sia stata resa applicabile alla fattispecie, in modo diretto ed incondizionato, dal diritto nazionale, la Corte di giustizia ha sancito il seguente principio: una normativa nazionale che consenta il respingimento di una domanda di ricongiungimento familiare presentata a beneficio di un familiare di un rifugiato, sulla base delle disposizioni più favorevoli applicabili ai rifugiati contenute nel capo V della direttiva, per il fatto che la suddetta domanda sia stata presentata più di tre mesi dopo la concessione al soggiornante dello status di rifugiato, e che garantisca al contempo la facoltà di presentare una nuova domanda nell’ambito di un altro regime, non osta, in linea di principio, alla la corretta interpretazione della richiamata direttiva, a condizione che la normativa nazionale de qua: i) preveda che un tale motivo di rigetto non possa essere utilizzato in situazioni ove particolari circostanze rendano oggettivamente scusabile la tardività della prima domanda; ii) preveda che le persone interessate siano pienamente informate delle conseguenze della decisione di rigetto della loro prima domanda e delle misure che siano tenute ad adottare al fine di far valere efficacemente il loro diritto al ricongiungimento familiare; iii) garantisca, infine, che i soggiornanti riconosciuti come rifugiati continuino a godere delle condizioni più favorevoli per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare applicabili ai rifugiati, previste dagli articoli 10 e 11 ovvero dall’articolo 12, par. 2, della suddetta direttiva.
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Judgment of the Court (Third Chamber) 7 November 2018
(C, A v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, in case C-257/17)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 7 novembre 2018
(C, A c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C-257/17)
Nella sentenza in questione, preliminarmente la Corte ha dovuto dichiarare la propria competenza ad interpretare, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, l’articolo 15 della direttiva 2003/86, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, nelle fattispecie in cui il giudice del rinvio sia chiamato a pronunciarsi sul rilascio di un permesso di soggiorno autonomo ad un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione europea che non abbia esercitato il suo diritto di libera circolazione, ove tale disposizione sia stata resa applicabile a dette situazioni, in modo diretto ed incondizionato, dal diritto nazionale. Su queste basi, la Corte di giustizia ha dichiarato che sia consentito, agli Stati membri, il respingimento di una domanda di permesso di soggiorno autonomo, presentata da un cittadino di un paese terzo che abbia soggiornato più di cinque anni nel proprio territorio ai fini del ricongiungimento familiare, per il motivo che esso richiedente non abbia superato un esame di integrazione civica vertente sulla lingua e sulla società dello Stato richiesto, a condizione che le modalità concrete della conduzione di tale esame non vadano oltre quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo di facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi. Nell’occasione, i Giudici di Lussemburgo hanno dichiarato, altresì, che il richiamato art. 15, ed in particolare i suoi paragrafi 1 e 15, non ostino all’applicazione di una normativa nazionale che preveda che il permesso di soggiorno autonomo possa essere rilasciato solo a decorrere dalla data di presentazione della domanda ad esso relativa.
OTTOBRE 2018
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 ottobre 2018
(XC, YB, ZA, causa C-234/17)
Judgment of the Court (Grand Chamber) 24 October 2018
(XC, YB, ZA, in case C-234/17)
Il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di equivalenza e di effettività, non impone ad un giudice nazionale di estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, e segnatamente alle lesioni del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, un mezzo di impugnazione di diritto interno che consente di ottenere la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato, come avviene in caso di violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli.
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Judgment of the Court (Seventh Chamber) 18 October 2018
(E.G. v. Republika Slovenija, in case C-662/17)
Sentenza della Corte (Settima Sezione) del 18 ottobre 2018
(E.G. c. Republika Slovenija, causa C-662/17)
Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell’art. 46, par. 2, secondo comma, della direttiva procedure (direttiva 2013/32/UE) lo status conferito dalla protezione sussidiaria non offre «gli stessi diritti e gli stessi vantaggi che il diritto dell’Unione e quello nazionale riconoscono allo status di rifugiato». Di conseguenza, un giudice nazionale non può dichiarare irricevibile un ricorso proposto contro una decisione che considera una domanda infondata sotto il profilo del riconoscimento dello status di rifugiato, ma che concede lo status conferito dalla protezione sussidiaria, a causa dell’insufficiente interesse del richiedente alla continuazione del procedimento, allorché si accerti che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, tali diritti e vantaggi attribuiti da tali due status di protezione internazionale non sono effettivamente identici. Non sussiste l’irricevibilità neanche qualora si constati che il riconoscimento dello status di rifugiato non attribuirebbe in concreto maggiori diritti e vantaggi rispetto alla concessione dello status conferito dalla protezione sussidiaria, dal momento che il richiedente non fa valere, o non fa ancora valere, diritti che sono attribuiti in forza dello status di rifugiato, ma che non lo sono, ovvero lo sono, ma in misura minore, in forza dello status conferito dalla protezione sussidiaria.
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Judgment of the Court (Second Chamber) 4 October 2018
(Bahtiyar Fathi v. Predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite, in case C-56/17)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 4 ottobre 2018
(Bahtiyar Fathi c. Predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite, causa C-56/17)
Attraverso una pronuncia articolata su più punti, la Corte di giustizia ha stabilito che:
- le norme fissate nel Regolamento Dublino III (Regolamento 604/2013) non impediscono che le autorità nazionali di uno Stato procedano all’esame del merito di una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), in mancanza di una decisione esplicita delle stesse autorità che stabilisca, sulla base dei criteri previsti dal regolamento stesso, che la competenza a effettuare un simile esame incombeva a tale Stato membro;
- la corretta applicazione dei criteri dettati dal Regolamento Dublino III non rientra in un obbligo di verifica d’ufficio da parte del giudice competente in uno Stato membro ad esaminare l’impugnazione di una decisione di infondatezza della domanda di protezione internazionale,
- nell’ipotesi un richiedente protezione internazionale adduca l’esistenza di un rischio di persecuzione per motivi fondati sulla religione, la direttiva qualifiche (direttiva 2011/95/UE) non impone, al fine di comprovare le affermazioni relative al credo religioso, di rendere dichiarazioni o produrre documenti su tutte le componenti della nozione di «religione», contemplata nella disposizione citata. Il richiedente è tuttavia tenuto a comprovare in maniera credibile le suddette affermazioni, presentando elementi che consentano all’autorità competente di assicurarsi della loro veridicità. L’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della stessa direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che il divieto, sanzionato con la pena capitale o con la reclusione, di atti contro la religione di Stato del paese d’origine del richiedente protezione internazionale può configurare un «atto di persecuzione» purché, per la violazione del divieto in questione, le autorità di detto paese impongano, nella prassi, sanzioni di questo tipo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
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Judgment of the Court (Second Chamber) 4 October 2018
(Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekova, Rauf Emin Ogla Ahmedbekov v. Zamestnik-predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite, in case C‑652/16)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 4 ottobre 2018
(Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekova, Rauf Emin Ogla Ahmedbekov c. Zamestnik-predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite, causa C-652/16)
Nella complessa sentenza in questione, la Seconda Sezione della Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi innanzitutto in ordine all’interpretazione della direttiva 2011/95, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, ha sancito preliminarmente che, nell’ambito dell’esame, su base individuale, di una domanda di protezione internazionale, si debba tener conto delle minacce di persecuzione e dei danni gravi incombenti su un familiare del richiedente, al fine di determinare se quest’ultimo, a causa del legame con la persona minacciata, sia a sua volta esposto a siffatte minacce. Inoltre, la Corte ha chiarito che la corretta interpretazione della direttiva suddetta e della direttiva 2013/32, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, non osti a che domande di protezione internazionale presentate, separatamente, da diversi membri di una stessa famiglia siano oggetto di misure volte a gestire un’eventuale connessione tra le medesime; non è consentito, tuttavia, che tali domande siano oggetto di una valutazione congiunta ovvero che la valutazione di una di dette domande sia sospesa fino alla chiusura della procedura d’esame relativa ad un’altra di tali domande. L’articolo 3 della direttiva 2011/95 consente invece agli Stati membri che abbiano riconosciuto, in forza del sistema istituito dalla direttiva de qua, la protezione internazionale ad un membro di una famiglia, di estendere tale protezione ad altri membri della detta famiglia, sempre che non sia applicabile alla fattispecie una delle cause di esclusione di cui all’articolo 12 della direttiva appena citata e purché loro situazione specifica presenti, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la logica della protezione internazionale. La sentenza in commento ha fornito ai Giudici di Lussemburgo anche l’occasione per chiarire il portato del motivo di d’inammissibilità enunciato all’articolo 33, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2013/32, secondo cui «Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile […] se [...] una persona a carico del richiedente presenta una domanda, dopo aver acconsentito, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, a che il suo caso faccia parte di una domanda presentata a suo nome e non vi siano elementi relativi alla situazione della persona a carico che giustifichino una domanda separata»; orbene, l’arrêt ha chiarito che esso non riguardi l’ipotesi in cui un adulto presenti, per sé e per suo figlio minore, una domanda di protezione internazionale fondata, in particolare, sull’esistenza di un legame familiare con un’altra persona, che abbia separatamente presentato un’analoga domanda. Sott’altro aspetto, la partecipazione del richiedente protezione internazionale alla proposizione di un ricorso, contro il suo paese, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, non può in linea di principio essere considerata, nell’ambito della valutazione dei motivi di persecuzione contemplati all’articolo 10 della direttiva 2011/95, come prova dell’appartenenza di tale richiedente ad un «determinato gruppo sociale», ai sensi del paragrafo 1, lettera d), di tale articolo, ma deve essere considerata come un motivo di persecuzione per «opinione politica», ai sensi del paragrafo 1, lettera e), del medesimo articolo, qualora sussistano fondati motivi di temere che la partecipazione alla proposizione di tale ricorso sia percepita da detto paese come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe prevedere di mettere in atto rappresaglie. Infine, la sentenza in commento ha statuito che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con il riferimento al procedimento di ricorso contenuto all’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva medesima, debba essere interpretato nel senso che il giudice investito di un ricorso contro una decisione di diniego di protezione internazionale sia in linea di principio tenuto a valutare, a titolo di «ulteriori dichiarazioni» e dopo aver richiesto un esame di queste ultime da parte dell’autorità accertante, i motivi di riconoscimento della protezione internazionale o gli elementi di fatto che, pur essendo relativi ad eventi od a minacce asseritamente verificatisi prima dell’adozione di detta decisione di diniego ovvero, addirittura, prima della presentazione della domanda di protezione internazionale, siano dedotti per la prima volta durante il procedimento di ricorso; tale obbligo non sussiste, per contro, laddove il giudicante constati che tali motivi o detti elementi siano stati dedotti in una fase tardiva del procedimento di ricorso o non siano presentati in maniera sufficientemente concreta da consentirne un esame compiuto, od ancora qualora si tratti di elementi di fatto che non risultino significativi o non siano sufficientemente distinti dagli altri elementi di cui l’autorità accertante abbia già potuto tenere conto.
SETTEMBRE 2018
Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 26 September 2018
(X, Y v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, in case C-180/17)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 26 settembre 2018
(X, Y c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C-180/17)
L’articolo 46 della direttiva 2013/32/UE (cd. direttiva procedure), e l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri), letti e interpretati alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 18, art. 19, par. 2 e art. 47), non ostano ad una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento. Con riferimento alla direttiva 2005/85/CE, si veda anche la Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 26 settembre 2018 (X c. Belastingdienst/Toeslagen, causa C‑175/17).
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Judgment of the Court (Second Chamber) of 13 September 2018
(Shajin Ahmed v. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, in case C‑369/17)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 13 settembre 2018
(Shajin Ahmed c. Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal, causa C‑369/17)
Sebbene il criterio della pena prevista sulla base della legislazione penale dello Stato membro interessato sia di particolare importanza nel valutare la gravità del reato che giustifica l’esclusione dalla protezione sussidiaria - ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95/UE (cd. direttiva qualifiche) - l’autorità competente dello Stato membro interessato può invocare la causa di esclusione prevista da tale disposizione solo dopo aver effettuato, per ciascun caso individuale, una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status richiesto, rientrino in tale causa di esclusione.
AGOSTO 2018
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
LUGLIO 2018
Judgment of the Court (Third Chamber) 5 July 2018
(X v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, in case C‑213/17)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 5 luglio 2018
(X c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C‑213/17)
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia ha chiarito che l’art. 23, par. 3, del regolamento n. 604/2013, che stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (cd. “Dublino III”), debba essere interpretato nel senso che lo Stato membro nel quale sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale resti competente per l’esame di quest’ultima, qualora non abbia presentato, entro i termini di cui al secondo paragrafo della succitata disposizione, una richiesta di ripresa in carico, pur se, da un lato, un altro Stato membro sia competente per l’esame di domande di protezione internazionale presentate in precedenza e, dall’altro, alla scadenza dei suddetti termini sia già pendente, dinanzi ad un giudice di quest’ultimo Stato membro, il ricorso proposto avverso il rigetto di una di dette domande. L’arresto ha fornito alla Corte l’occasione per precisare altresì che la formulazione, da parte di uno Stato membro, di una richiesta di ripresa in carico di un cittadino di un paese terzo che si trovi sul suo territorio senza permesso di soggiorno, non imponga al detto Stato, ai sensi del secondo paragrafo dell’art. 18 del regolamento in commento, di sospendere l’esame di un ricorso proposto contro il rigetto di una domanda di protezione internazionale presentata in precedenza e, poi, di porre fine a tale esame nel caso in cui lo Stato membro richiesto accetti di riprendere in carico il soggetto. Inoltre, i Giudici di Lussemburgo hanno precisato che l’art. 24, par. 5, del regolamento stesso, debba essere interpretato nel senso che, uno Stato membro che formuli una richiesta di ripresa in carico sul fondamento dell’articolo 24 del regolamento medesimo, ovvero dell’irregolarità del soggiorno nel suo territorio, a seguito della scadenza, nello Stato membro richiesto, dei termini previsti dal citato art. 23, par. 2, non sia tenuto ad informare le autorità di quest’ultimo Stato membro in merito alla pendenza, innanzi ad una sua autorità giudiziaria, di un ricorso proposto avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale presentata in precedenza. Infine, la Corte ha sancito nell’occasione che, ai sensi dell’art. 17, par. 1, e dell’art. 24 del regolamento de quo, laddove, alla data della decisione di trasferimento, un richiedente la protezione internazionale sia stato consegnato da un primo Stato membro ad un secondo Stato membro in esecuzione di un mandato d’arresto europeo, e si trovi sul territorio di quest’ultimo senza avervi presentato una nuova domanda di protezione internazionale, tale secondo Stato membro possa chiedere al primo Stato membro di riprendere in carico il suddetto richiedente e non sia tenuto a decidere sulla domanda presentata da quest’ultimo.
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Ordinanza della Corte (Prima Sezione) del 5 luglio 2018
(Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie e altri c. C e J e S c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C-269/18 PPU)
La direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri) e la direttiva 2013/32/UE (cd. direttiva procedure) devono essere interpretate nel senso che impediscono che un cittadino di un paese terzo – la cui domanda di protezione internazionale sia stata respinta dall’autorità amministrativa competente in quanto manifestamente infondata – sia trattenuto ai fini dell’allontanamento allorquando, ai sensi dell’articolo 46, paragrafi 6 e 8, della direttiva 2013/32, sia legittimamente autorizzato a rimanere sul territorio nazionale fino all’esito della procedura volta a decidere se questi possa rimanere nel territorio in attesa della conclusione del ricorso contro la decisione di rigetto della sua domanda di protezione internazionale.
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Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 12 luglio 2018
(Secretary of State for the Home Department c. Rozanne Banger, causa C-89/17)
L’articolo 21, par. 1, del TFUE obbliga lo Stato membro di cui un cittadino dell’Unione possiede la cittadinanza ad agevolare il rilascio di un titolo di soggiorno al partner, cittadino di uno Stato terzo, con il quale il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile, quando detto cittadino dell’Unione abbia esercitato il suo diritto di libera circolazione e faccia ritorno con il suo partner nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza per soggiornarvi. Lo stesso articolo impone che un provvedimento di diniego di rilascio di un’autorizzazione al soggiorno per il partner non registrato, cittadino di un Paese terzo, di un cittadino dell’Unione il quale, dopo aver esercitato il suo diritto di libera circolazione in un altro Stato membro, faccia ritorno nello Stato membro di cui ha la cittadinanza, deve essere fondato su un esame approfondito della situazione personale del richiedente e deve essere motivato. I cittadini di Stati terzi devono anche disporre di un mezzo di impugnazione per contestare il provvedimento di diniego di rilascio di un’autorizzazione al soggiorno. In tale contesto, il giudice nazionale deve poter verificare se tale provvedimento si fondi su una base di fatto sufficientemente solida e se le garanzie procedurali siano state rispettate.
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Judgment of the Court (First Chamber) of 25 July 2018
(A. v. Migrationsverket Förvaltningsprocessenheten Malmö, in case C-404/17)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 25 luglio 2018
(A. c. Migrationsverket Förvaltningsprocessenheten Malmö, causa C-404/17)
In una situazione come quella trattata nel procedimento principale, nella quale, da un lato, dalle informazioni sul paese di origine del richiedente risulti che a quest’ultimo può essere garantita in tale paese una protezione accettabile e, dall’altro, il richiedente protezione internazionale abbia fornito informazioni insufficienti per giustificare il riconoscimento di una protezione stessa, qualora lo Stato membro di proposizione della domanda non abbia adottato norme per l’attuazione del concetto di paese di origine sicuro, l’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32/UE (cd. direttiva procedure), letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 2, della medesima direttiva, va interpretato nel senso che esso non consente di ritenere manifestamente infondata una domanda di protezione internazionale.
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Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 25 luglio 2018
(Serin Alheto c. Zamestnik-predsedatel na Darzhavna agentsia za bezhantsite, causa C-585/16)
La Corte di giustizia offre alcune precisazioni sul trattamento delle domande di protezione internazionale (asilo e protezione sussidiaria) presentate negli Stati membri dell’Unione. In particolare, secondo la Corte il trattamento di una domanda di protezione internazionale presentata da una persona registrata presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) richiede che si accerti se tale persona benefici di una protezione o di un’assistenza effettiva da parte di tale organismo, sempreché tale domanda non sia stata preliminarmente respinta sulla base di un motivo d’inammissibilità o sulla base di una causa di esclusione diversa da quella prevista all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), primo periodo, della direttiva 2011/95/UE. Quando un palestinese, come la richiedente nella causa principale, è registrato presso l’(UNRWA), tale palestinese non può ottenere l’asilo nell’Unione finché gode di protezione o di assistenza effettiva di tale organismo delle Nazioni Unite. Può ottenere l’asilo nell’Unione soltanto se si trova in uno stato personale di grave insicurezza, ha richiesto invano l’assistenza dell’UNRWA ed è stato costretto, per via di circostanze indipendenti dalla sua volontà, a lasciare la zona operativa dell’UNRWA. La sentenza chiarisce poi che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2004/83/CE e l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), secondo periodo, della direttiva 2011/95/UE devono essere interpretati nel senso che: - ostano a una normativa nazionale che non prevede o che recepisce in modo non corretto la causa di cessazione dell’applicazione della causa di esclusione dallo status di rifugiato in essi contenuta; - hanno efficacia diretta, e - possono essere applicati anche qualora il richiedente protezione internazionale non li abbia espressamente invocati. Infine, quando un giudice è investito di un’impugnazione contro una decisione dell’organo amministrativo o quasi giurisdizionale in merito a una domanda d’asilo o di protezione sussidiaria, esso deve procedere a un esame del fascicolo completamente aggiornato, tenendo conto di tutti gli elementi di fatto e di diritto che appaiono pertinenti, compresi quelli che non esistevano ancora nel momento in cui l’organo amministrativo in questione ha adottato la sua decisione. Siffatta interpretazione è fondata sull’art. 46, par. 3 della direttiva 2013/32/UE secondo cui il giudice investito in primo grado di un’impugnazione contro una decisione dell’organo interessato deve effettuare un «esame completo ed ex nunc» del fascicolo, nonché sull’obiettivo della direttiva stessa consistente nel garantire un trattamento quanto più rapido possibile delle domande d’asilo e di protezione sussidiaria. In ragione di siffatto obiettivo, il giudice è tenuto a esaminare in maniera esaustiva e aggiornata la domanda senza che sia necessario, prima che lo stesso si pronunci, rinviare il fascicolo all’organo amministrativo o quasi giurisdizionale.
GIUGNO 2018
Judgment of the Court (First Session) of 27 June 2018
(Ibrahima Diallo v. État belge, in case C-246/17)
Sentenza della Corte (Prima sezione) del 27 giugno 2018
(Ibrahima Diallo c. État belge, causa C-246/17)
La Corte ha dichiarato, nella sentenza in commento, che l’art. 10, par. 1, della direttiva 2004/38, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, debba essere interpretato nel senso che la decisione relativa alla domanda di rilascio della carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione europea debba essere non solo adottata, ma anche comunicata entro il termine di sei mesi ivi previsto. La corretta interpretazione della direttiva stessa osta inoltre, secondo i Giudici della Corte, all’applicabilità di una normativa nazionale, come quella venuta in rilievo nel procedimento principale de quo, in forza della quale, laddove risulti superato il termine semestrale di cui alla disposizione succitata, sia imposto alle autorità nazionali competenti di rilasciare d’ufficio all’interessato la suddetta carta di soggiorno, senza che tanto consegua effettivamente all’accertamento concernente il soddisfacimento delle condizioni allo scopo necessarie, in conformità al diritto dell’Unione. Infine, ha chiarito la Corte, non risulta altresì conforme al diritto dell’Unione una giurisprudenza nazionale, come quella risultante nell’ordinamento nazionale venuto in rilievo, secondo la quale, in seguito all’annullamento giurisdizionale di una decisione di diniego della carta suddetta, l’autorità nazionale competente possa automaticamente avvalersi di nuovo dell’integralità del termine di sei mesi previsto dalla disposizione in commento l’automatica decorrenza di un nuovo termine di sei mesi appare infatti, ai Giudici dell’Unione, «sproporzionat[a] sotto il profilo della finalità del procedimento amministrativo previsto all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 nonché dell’obiettivo di tale direttiva»; deve trattarsi invece, espressamente, di un termine «ragionevole», comunque contenuto entro i limiti di sei mesi.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) 19 June 2018
(Sadikou Gnandi v. État belge, in case C-181/16)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 19 giugno 2018
(Sadikou Gnandi c. État belge, causa C-181/16)
Alla luce del principio di non-refoulement e del diritto ad un ricorso effettivo, sanciti dall’articolo 18, dall’articolo 19, paragrafo 2, e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri) non impedisce che le autorità nazionali adottino una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo che abbia proposto domanda di protezione internazionale, direttamente a seguito del rigetto di quest’ultima domanda da parte dell’autorità competente ovvero cumulativamente con il rigetto stesso in un unico atto amministrativo e, pertanto, anteriormente alla decisione del ricorso giurisdizionale proposto avverso il rigetto medesimo. Secondo la Corte è necessario, però, rispettare una condizione, consistente nella garanzia da parte dello Stato membro interessato della sospensione di tutti gli effetti giuridici della decisione di rimpatrio nelle more dell’esito del ricorso, affinché il richiedente possa beneficiare, durante tale periodo, dei diritti riconosciuti dalla direttiva accoglienza e che sia in grado di far valere qualsiasi mutamento delle circostanze verificatosi successivamente all’adozione della decisione di rimpatrio, che presenti rilevanza significativa per la valutazione della situazione dell’interessato con riguardo alla direttiva 2008/115.
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Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 5 giugno 2018
(Coman e altri c. Inspectoratul General pentru Imigrări, Ministerul Afacerilor Interne, causa C-673/16)
Interpretando l’articolo 21, paragrafo 1, del TFUE la Corte di giustizia ritiene che gli Stati membri non possono rifiutare di concedere un diritto di soggiorno derivato al cittadino di uno Stato terzo, coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell’Unione, per il fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
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MAGGIO 2018
Judgment of the Court (Second Chamber) 31 May 2018
(case C‑647/16, Adil Hassan v. Préfet du Pas-de-Calais)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 31 maggio 2018
(causa C‑647/16, Adil Hassan c. Préfet du Pas-de-Calais)
Interrogata in via pregiudiziale, la Corte ha sancito che la corretta interpretazione dell’articolo 26, par. 1, del regolamento n. 604/2013, che stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, osti a che lo Stato membro che abbia avanzato una richiesta di presa o di ripresa in carico di una persona presso un altro Stato membro, ritenendolo competente per l’esame della domanda, adotti poi una decisione di trasferimento e la notifichi a detta persona prima che lo Stato membro richiesto abbia espresso il suo esplicito od implicito accordo a tale richiesta.
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Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 2 maggio 2018
(K. c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (causa C‑331/16) e H.F. c. Belgische Staat (causa C‑366/16))
La precedente decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra o della direttiva 2011/95/UE non consente alle autorità di uno Stato membro di considerare – ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno ad un cittadino europeo o a un suo familiare - automaticamente che la presenza sul territorio di tale Stato costituisca, indipendentemente dall’esistenza di un rischio di recidiva, una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società tale da giustificare l’adozione di misure di ordine pubblico o di sicurezza pubblica. La valutazione della minaccia deve, infatti, essere fondata sul comportamento personale dell’interessato, prendendo in considerazione le conclusioni della decisione di esclusione dal beneficio dello status di rifugiato e gli elementi su cui essa è fondata, in particolare la natura e la gravità dei crimini o degli atti che gli sono contestati, il livello del suo coinvolgimento personale in essi, l’eventuale esistenza di motivi di esonero da responsabilità penale e l’esistenza di una condanna penale. Nel rispetto del principio di proporzionalità, le autorità nazionali devono anche bilanciare, da un lato, la tutela dell’interesse fondamentale della società di cui trattasi con, dall’altro, gli interessi della persona di cui trattasi, relativi all’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno in quanto cittadino dell’Unione nonché al suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) 8 May 2018
(case C‑82/16, K.A. and others v. Belgische Staat)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) dell’8 maggio 2018
(causa C‑82/16, K.A. ed altri c. Belgische Staat)
La Grande Sezione ha escluso che possa dirsi contrastante con l’interpretazione della direttiva 115 del 2008 (cd. “direttiva rimpatri”), la prassi di uno Stato membro che consista nel non prendere in considerazione la domanda di soggiorno, a fini di ricongiungimento familiare, presentata nel suo territorio da un cittadino di paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di tale Stato membro e che non abbia mai esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, in base al solo motivo che l’istante sia oggetto di un divieto di ingresso in tale territorio. Tuttavia, secondo la Corte, una prassi del genere si pone in antinomia con l’art. 20 TFUE, laddove il diniego venga opposto senza che sia stato esaminato se sussista, tra il cittadino dell’Unione ed il familiare istante cittadino di un paese terzo, un rapporto di dipendenza di natura tale che, in caso di rifiuto di concessione a quest’ultimo di un diritto di soggiorno derivato, il cittadino dell’Unione in parola sarebbe, di fatto, obbligato a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme, venendo così privato del godimento effettivo del contenuto essenziale dei diritti conferitigli dal suo status. In particolare, se il cittadino dell’Unione è maggiorenne, un rapporto di dipendenza – di natura tale da giustificare la concessione, al cittadino di un paese terzo interessato, di un diritto di soggiorno derivato ai sensi di detto articolo – è ravvisabile solo in casi eccezionali, nei quali, tenuto conto dell’insieme delle circostanze pertinenti, il soggetto interessato non possa in alcun modo essere separato dal familiare da cui dipende; se invece il cittadino dell’Unione è minorenne, la valutazione dell’esistenza di un siffatto rapporto di dipendenza dev’essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del bambino, dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e, segnatamente, della sua età, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva con ciascuno dei genitori, nonché del rischio che la separazione dal genitore cittadino di un paese terzo cagionerebbe all’equilibrio del minore stesso; a questi fini, l’esistenza di un vincolo familiare con tale cittadino, di tipo biologico o giuridico, non è sufficiente, e la convivenza con quest’ultimo non è elemento necessario.
APRILE 2018
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 24 April 2018
(MP v. Secretary of State for the Home Department, case C‑353/16)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 aprile 2018
(MP c. Secretary of State for the Home Department, causa C‑353/16)
Letta alla luce dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la direttiva 2004/83/CE (cd. Direttiva qualifiche, in particolare gli artt. 2, lett. e) e 15, lett. b)) va interpretata nel senso che è ammissibile allo status di protezione sussidiaria il cittadino di un paese terzo torturato in passato dalle autorità del suo paese di origine e non più esposto a un rischio di tortura in caso di ritorno in detto paese, ma le cui condizioni di salute fisica e mentale potrebbero, in un tale caso, deteriorarsi gravemente, con il rischio che il cittadino di cui trattasi commetta suicidio, in ragione di un trauma derivante dagli atti di tortura subiti, se sussiste un rischio effettivo di privazione intenzionale in detto paese delle cure adeguate al trattamento delle conseguenze fisiche o mentali di tali atti di tortura, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 17 April 2018
(B. v. Land Baden-Württemberg, case C‑316/16 and Secretary of State for the Home Department v. Franco Vomero, case C‑424/16)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 17 aprile 2018
(B. c. Land Baden-Württemberg, causa C‑316/16 e Secretary of State for the Home Department c. Franco Vomero, causa C‑424/16)
La Corte di giustizia interpreta alcuni punti dell’art. 28, par. 3, lett. a) della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, in primis stabilendo che il beneficio della protezione contro l’allontanamento dal territorio prevista in detta disposizione è subordinato alla condizione che l’interessato disponga di un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 28, par. 2, della stessa direttiva. In secondo luogo, nel caso di un cittadino dell’Unione che sconta una pena privativa della libertà e nei cui confronti è stata adottata una decisione di allontanamento, la condizione di aver «soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni», sancita in tale disposizione, può essere soddisfatta purché una valutazione complessiva della situazione dell’interessato, che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti, induca a concludere che, nonostante detta detenzione, i legami di integrazione che uniscono l’interessato allo Stato membro ospitante non siano stati rotti. Tra questi aspetti si annoverano, in particolare, la forza dei legami di integrazione creati con lo Stato membro ospitante prima che l’interessato fosse posto in stato di detenzione, la natura del reato che ha giustificato il periodo di detenzione scontato e le circostanze in cui è stato commesso nonché la condotta dell’interessato durante il periodo di detenzione. Infine, il calcolo dei 10 anni, deve essere valutato alla data in cui viene adottata la decisione iniziale di allontanamento.
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Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 12 aprile 2018
(A.S. c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C‑550/16)
Nell’interpretare l’art. 2 della direttiva 2003/86/CE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, la Corte di giustizia ha stabilito che deve essere qualificato come «minore» un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato. Tuttavia, la Corte precisa che la domanda di ricongiungimento familiare deve essere presentata entro un termine ragionevole, ossia in linea di principio tre mesi a decorrere dal giorno in cui al minore interessato è stato riconosciuto lo status di rifugiato.
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Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 10 aprile 2018
(Romano Pisciotti c. Bundesrepublik Deutschland, causa C‑191/16)
Nel caso in cui un cittadino dell’Unione, oggetto di una richiesta di estradizione verso gli Stati Uniti d’America, è stato arrestato, ai fini dell’eventuale esecuzione di tale richiesta, in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, tale situazione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea, atteso l’esercizio del diritto di circolare liberamente nell’Unione europea e che detta richiesta di estradizione è stata effettuata nell’ambito dell’accordo sull’estradizione tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, del 25 giugno 2003. Inoltre, ai fini dell’eventuale esecuzione della richiesta di estradizione, secondo la Corte gli articoli 18 TFUE e 21 TFUE non impediscono che lo Stato membro richiesto operi una distinzione, sulla base di una norma di diritto costituzionale, tra i suoi cittadini e i cittadini di altri Stati membri e che autorizzi tale estradizione mentre non consente quella dei propri cittadini, una volta che ha preventivamente posto in grado le autorità competenti dello Stato membro, di cui tale persona è cittadino, di chiederne la consegna nell’ambito di un mandato d’arresto europeo e quest’ultimo Stato membro non ha adottato alcuna misura in tal senso.
MARZO 2018
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 20 March 2018
(Garlsson Real Estate SA e a. c. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, case 537/16)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 20 marzo 2018
(causa 537/16, Garlsson Real Estate SA e a. c. Commissione Nazionale per le Società e la Borsa)
Il principio del ne bis in idem garantito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea può essere legittimamente limitato nella misura in cui il cumulo di una sanzione penale e di una amministrativa sostanzialmente penale, sia finalizzato ad un obiettivo di interesse generale; siano previste regole chiare e precise che consentano al soggetto accusato di prevedere quali atti ed omissioni possano costituire oggetto di un siffatto cumulo; i procedimenti siano coordinati fra loro per limitare a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che un siffatto cumulo comporta per gli interessati, e la severità del complesso delle sanzioni imposte sia proporzionataalla gravità dell’illecito in questione. In ogni caso spetta al giudice nazionale verificare se siano soddisfatti tali requisiti.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 20 March 2018
(Enzo Di Puma c. Consob e Consob c. Antonio Zecca, joined cases C‑596/16 and C‑597/16)
Sentenza della Corte (Grande Sezione), del 20 marzo 2018
(cause riunite C-596/16 e C-597/16, Enzo Di Puma c. Consob e Consob c. Antonio Zecca)
La Corte di giustizia precisa che laddove sia pronunciata una sentenza penale definitiva di assoluzione, la prosecuzione di un procedimento di sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale è incompatibile con il principio del ne bis in idem, che opera anche quando l’interessato sia stato definitivamente assolto ed oltretutto, eccede manifestamente quanto necessario per conseguire l’obiettivo di proteggere l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e la fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, in violazione del principio di proporzionalità.
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Relazione sullo stato di attuazione dell’agenda europea sulla migrazione, COM(2018) 250 final, Bruxelles, 14.3.2018
La Relazione fornisce una visione d’insieme dei progressi e degli sviluppi intervenuti in tutti i filoni di attività previsti dall’Agenda europea sulla migrazione a far data dalla pubblicazione dell’ultima relazione della Commissione del novembre 2017. Inoltre, essa fa il bilancio dei progressi compiuti in linea con la tabella di marcia della Commissione per raggiungere un accordo entro giugno 2018 sul pacchetto globale in materia di migrazione, presentata alla riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’UE nel dicembre 2017. Infine, la Relazione enuclea importanti misure concrete che servono a garantire la continua efficacia della risposta dell’UE, in particolare la necessità di investimenti finanziari supplementari, da parte, congiuntamente, degli Stati membri e dell’UE, a sostegno dell'azione dell'UE riguardo alla dimensione esterna della migrazione.
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Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council, amending Regulation(EC) No 810/2009 establishing a Community Code on Visas (Visa Code), COM(2018) 252 final, Brussels, 14.3.2018
La proposta di modifica del codice dei visti sostituisce la precedente proposta presentata nell’aprile 2014 (COM(2014) 164 dell’1.4.2014). Essa intende aggiornare le procedure di rilascio dei visti per rispondere meglio alla mutata situazione migratoria e della sicurezza, anche attraverso un approccio combinato tra politica dei visti e cooperazione in materia di riammissione. Si veda anche la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Adattare la politica comune in materia di visti alle nuove sfide, COM(2018)251 final, Buxelles, 14.3.2018
FEBBRAIO 2018
Raccomandazione (UE) 2018/234 della Commissione del 14 febbraio 2018, sul rafforzare la natura europea e l’efficienza nello svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo del 2019
Al fine di sostenere la partecipazione dei cittadini e la dimensione europea delle elezioni del Parlamento europeo, la Commissione europea ha adottato una Raccomandazione vertente sui 5 punti seguenti: 1. coinvolgere i cittadini europei in dibattiti su tematiche europee prima delle elezioni del Parlamento europeo; 2. sostegno a un candidato alla carica di presidente della Commissione europea; 3. informare gli elettori sulle affiliazioni tra partiti nazionali e partiti politici europei; 4. promuovere e semplificare l'informazione degli elettori sulle affiliazioni tra partiti nazionali e partiti politici europei; 5. svolgimento efficiente.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 6 February 2018
(Case C-359/16, Ömer Altun and Others)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 6 febbraio 2018
(causa C‑359/16, Ömer Altun ed altri)
Nella sentenza in commento, la Corte, riunita in Grande Sezione, ha statuito che l’art. 14, punto 1, lett. a), del regolamento n. 1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi ed ai loro familiari che si spostino all’interno della Comunità, e l’art. 11, par. 1, lett. a), del regolamento n. 574/72, che stabilisce le modalità di applicazione del suddetto regolamento, nelle versioni vigenti, debbano essere interpretati nel senso che, qualora l’istituzione dello Stato membro nel quale i lavoratori siano stati distaccati abbia investito l’istituzione emittente di una domanda di riesame e/o di revoca di certificati “E 101” (attestanti la legislazione alla quale i lavoratori siano soggetti ed il termine dell’applicazione di tale legislazione), sulla scorta di elementi raccolti nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria dalla quale sia emerso che tali certificati siano stati ottenuti o richiesti in modo fraudolento, e l’istituzione emittente non abbia tenuto conto di tali elementi ai fini del riesame della procedura di rilascio, il giudice nazionale può, nell’ambito di un procedimento promosso contro persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di certificati del genere, ignorare tali certificati se – sulla base di detti elementi ed in osservanza delle garanzie inerenti al diritto ad un equo processo – constati l’esistenza di una frode.
GENNAIO 2018
Judgment of the Court (Fifth Chamber) 16 January 2018
(E., in case C-240/17)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 16 gennaio 2018
(E., causa C‑240/17)
Nella sentenza in commento, la Corte di giustizia ha chiarito che l’art. 25, par. 2, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, debba essere interpretato nel senso che, se allo Stato contraente che intenda adottare una decisione di rimpatrio, accompagnata da divieto d’ingresso e di soggiorno nello spazio Schengen, nei confronti di un cittadino di un paese terzo in possesso di un titolo di soggiorno in corso di validità, rilasciato da un altro Stato contraente, è consentito avviare la procedura di consultazione prevista da detta disposizione anche anteriormente all’adozione della decisione medesima, l’obbligo di avvio di tale procedura sorge, in ogni caso, non appena la sua adozione abbia avuto luogo. La corretta interpretazione della norma summenzionata non osta poi, secondo l’interpretazione dei Giudici di Lussemburgo, all’esecuzione della decisione di rimpatrio, accompagnata dal divieto d’ingresso, nelle more della la procedura di consultazione de qua, qualora lo Stato contraente autore della segnalazione ritenga legittimamente che il soggetto interessato rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale, ferma restando la facoltà per il cittadino medesimo di far valere i diritti derivanti dal proprio titolo di soggiorno recandosi successivamente nel territorio del secondo Stato contraente. Tuttavia, decorso un termine ragionevole dall’avvio della procedura di consultazione ed in assenza di risposta dallo Stato contraente consultato, spetta allo Stato contraente autore della segnalazione procedere al ritiro della segnalazione di non ammissione, inserendo, eventualmente, il nominativo del cittadino medesimo nel proprio elenco nazionale di segnalazione. Il soggetto in questione può sempre, ad ogni buon conto, far valere, dinanzi al giudice nazionale, gli effetti giuridici derivanti dalla procedura di consultazione incombente sullo Stato autore della segnalazione.
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Judgment of the Court (Third Chamber) 25 January 2018
(Bundesrepublik Deutschland v. Aziz Hasan, in case C‑360/16)
Sentenza della Corte di giustizia (Terza sezione) del 25 gennaio 2018
(Bundesrepublik Deutschland c. Aziz Hasan, nella causa C‑360/16)
La Corte di giustizia interpreta alcune disposizioni del Regolamento (UE) n. 604/2013 (cd. Regolamento Dublino III) inerenti al trasferimento dei richiedenti protezione internazionale da uno Stato membro all’altro. Tra le altre, la Corte ritiene compatibile con la normativa europea la disciplina nazionale che prevede che il controllo giurisdizionale della decisione di trasferimento deve basarsi sulla situazione di fatto esistente allorché si è tenuta l’ultima udienza dinanzi al giudice adito o, in mancanza di udienza, al momento in cui detto giudice si pronuncia sul ricorso; inoltre qualora un cittadino di uno Stato terzo, dopo aver presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, venga trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda presentata presso un secondo Stato membro e ritorna, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo, detto cittadino può essere sottoposto a una procedura di ripresa in carico e non è possibile procedere a un ulteriore trasferimento di tale persona verso il primo di tali Stati membri senza che venga seguita detta procedura.
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Judgment of the Court (Third Chamber) 25 January 2018
(F. v. Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal, in case C‑473/16)
Sentenza della Corte di giustizia (Terza sezione) del 25 gennaio 2018
(F. c. Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal, causa C‑473/16)
La direttiva 2011/95/UE consente alle autorità competenti per l’esame delle domande di protezione internazionale di disporre una perizia psicologica in ordine all’accertamento dell’orientamento sessuale del richiedente, purché le modalità di tale perizia siano conformi ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ciò implica che la decisione circa il riconoscimento della protezione non può essere fondata esclusivamente sulle conclusioni peritali che non hanno carattere vincolante. Inoltre, essa impedisce di utilizzare, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, una perizia psicologica, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente, in quanto in contrasto con l’art. 7 della Carta diretto a tutelare il rispetto della vita privata.
DICEMBRE 2017
Judgment of the Court (Fifth Chamber) 20 December 2017
(Florea Gusa v. Minister for Social Protection, Ireland, in case C‑442/16)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 20 dicembre 2017
(Florea Gusa c. Minister for Social Protection, Irlanda, causa C‑442/16)
Interrogati in via pregiudiziale, i Giudici di Lussemburgo hanno chiarito che, ai sensi dell’articolo 7, par. 3, lett. b), della direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, un cittadino di uno Stato membro che, dopo aver soggiornato regolarmente ed aver esercitato, quale lavoratore autonomo, un’attività in un altro Stato membro per circa quattro anni, abbia cessato l’attività lavorativa per mancanza di lavoro, debitamente comprovata, causata da ragioni indipendenti dalla sua volontà, e si sia registrato presso l’ufficio di collocamento competente di tale Stato membro come persona in cerca di occupazione, mantiene lo status di lavoratore autonomo ai sensi dell’articolo 7, par. 1, lett. a), della direttiva stessa; la norma da ultima richiamata, infatti, non si riferisce – secondo l’interpretazione resa dalla Corte nella sentenza in commento – esclusivamente alle persone che si trovino in stato di disoccupazione involontaria dopo aver esercitato un’attività subordinata, come sembrerebbe indicare la formulazione testuale della disposizione. Un’interpretazione restrittiva non solo risulterebbe contraria allo scopo perseguito dalla direttiva, ma «creerebbe una disparità di trattamento ingiustificata tra queste due categorie di persone rispetto all’obiettivo perseguito da tale disposizione di garantire, attraverso il mantenimento dello status di lavoratore, il diritto di soggiorno delle persone che abbiano cessato di esercitare la loro attività professionale a causa della mancanza di lavoro dovuta a circostanze indipendenti dalla loro volontà»; per di più, una simile disparità di trattamento risulterebbe «ancor meno giustificata in quanto porterebbe a trattare una persona, che [abbia] esercitato un’attività autonoma per oltre un anno nello Stato membro ospitante e che [abbia] contribuito al sistema sociale e fiscale di tale Stato membro […], nello stesso modo di una persona che è alla ricerca di un primo impiego nel citato Stato membro, che non ha mai esercitato un’attività economica in quest’ultimo e non ha mai versato contributi».
Judgment of the Court (First Session) 13 December 2017
(Soufiane El Hassani v. Minister Spraw Zagranicznych, in case C‑403/16)
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 13 dicembre 2017
(Soufiane El Hassani c. Minister Spraw Zagranicznych, causa C‑403/16)
Nella sentenza in commento, la Corte ha chiarito, in via pregiudiziale, che la corretta interpretazione dell’articolo 32, par. 3, del regolamento n. 810/2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, obblighi gli Stati membri a prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto, con modalità a definirsi dagli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività. A differenza di quanto accade(va) nell’ordinamento polacco, dal quale è scaturita la questione de qua, tale procedura deve sempre garantire, ad un determinato dato stadio, la possibilità di accedere ad un procedimento avente natura propriamente giurisdizionale.
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Judgment of the Court (Eighth Chamber) 7 December 2017
(Wilber López Pastuzano v. Delegación del Gobierno en Navarra, in case C-636/16)
Sentenza della Corte (Ottava Sezione) del 7 dicembre 2017
(Wilber López Pastuzano c. Delegación del Gobierno en Navarra, causa C-636/16)
La decisione di allontanamento nei confronti di un cittadino di uno Stato terzo che sia soggiornante di lungo periodo può essere emanata dagli Stati membri, ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2003/109/CE tenendo in considerazione vari fattori quali la durata del soggiorno nel territorio, l’età dell’interessato, le conseguenze per quest’ultimo e per i suoi familiari, nonché i vincoli con il paese di soggiorno o l’assenza di vincoli con il paese d’origine. Tale decisione non può essere emanata automaticamente a seguito di una condanna penale, richiedendo una valutazione caso per caso che deve, in particolare, vertere sugli elementi citati.
NOVEMBRE 2017
Regolamento (UE) 2017/2226 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2017, che istituisce un sistema di ingressi/uscite per la registrazione dei dati di ingresso e di uscita e dei dati relativi al respingimento dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri e che determina le condizioni di accesso al sistema di ingressi/uscite a fini di contrasto e che modifica la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e i regolamenti (CE) n. 767/2008 e (UE) n. 1077/2011
Nell’ottica di migliorare ulteriormente la gestione delle frontiere esterne e, in particolare, al fine di verificare il rispetto delle disposizioni relative al periodo di soggiorno autorizzato nel territorio degli Stati membri, il Regolamento istituisce un sistema di ingressi/uscite (Entry/Exit System – EES), che registri elettronicamente l’ora e il luogo di ingresso e di uscita dei cittadini di paesi terzi ammessi per un soggiorno di breve durata nel territorio degli Stati membri e che calcoli la durata del soggiorno autorizzato. Tale sistema sostituisce l’obbligo, che è applicabile a tutti gli Stati membri, di apporre timbri sui passaporti dei cittadini di paesi terzi. Ad esso è connesso il Regolamento (UE) 2017/2225 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2017, che modifica il regolamento (UE) 2016/399 per quanto riguarda l’uso del sistema di ingressi/uscite.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) 14 November 2017
(Toufik Lounes v. Secretary of State for the Home Department, in case C-165/16)
Nella sentenza in commento, la Corte ha chiarito, in via pregiudiziale, che la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, dev’essere interpretata nel senso che, laddove un cittadino dell’Unione europea il quale, in forza dell’articolo 7, par. 1, o dell’articolo 16, par. 1, della direttiva in questione, abbia precedentemente fatto esercizio del proprio diritto di circolazione, recandosi e soggiornando in uno Stato membro diverso da quello di provenienza, del quale abbia poi acquisito la cittadinanza conservando al contempo anche quella del Paese d’origine, ed, alcuni anni dopo, abbia contratto matrimonio con un cittadino di uno Stato terzo con il quale continui a risiedere nel territorio dello Stato membro già “ospitante”, orbene, in tale situazione, il soggetto “extracomunitario” non può beneficiare del diritto di soggiorno derivato nello Stato membro in questione. La direttiva de qua non è volta infatti, secondo la Corte, «a disciplinare il soggiorno di un cittadino dell’Unione nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza» e, di conseguenza, «non è nemmeno volta a conferire, nel territorio del medesimo Stato membro, un diritto di soggiorno derivato ai familiari di tali cittadini, che siano cittadini di uno Stato terzo»; al contrario, «un diritto di soggiorno derivato in favore di un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, esiste, in linea di principio, solo quando è necessario per assicurare l’effettivo esercizio da parte di tale cittadino della sua libertà di circolazione». Secondo i Giudici di Lussemburgo, tuttavia, di fronte a fattispecie del genere di quella suesposta, il cittadino dell’Unione può beneficiare della protezione offerta dell’articolo 21, par. 1, TFUE, che, per espressa affermazione della Corte, include il diritto «di condurre una normale vita familiare nello Stato membro ospitante, beneficiando della vicinanza dei […] familiari»; se si accedesse ad una diversa interpretazione, infatti, ne conseguirebbe che «un cittadino dell’Unione che abbia esercitato la propria libertà di circolazione e che abbia acquisito la cittadinanza dello Stato membro ospitante in aggiunta alla propria cittadinanza d’origine sarebbe, per quanto riguarda la sua vita familiare, trattato in modo meno favorevole rispetto ad un cittadino dell’Unione che abbia anch’esso esercitato tale libertà ma che possieda soltanto la propria cittadinanza d’origine». Il diritto sopra descritto deve trovare applicazione, nello specifico, a condizioni che non devono risultare più rigorose di quelle previste dalla direttiva 2004/38 (che si applica quindi per analogia), per la concessione di detto diritto ad un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione stabilendosi in uno Stato membro diverso da quello di cui possieda la cittadinanza.
OTTOBRE 2017
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 25 October 2017
(Majid Shiri, in case C-201/16)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 25 ottobre 2017
(Majid Shiri, causa C-201/16)
Ai sensi dell’articolo 29, par. 2, del regolamento Dublino III, se il trasferimento non è eseguito nel termine di sei mesi definito all’articolo 29, paragrafi 1 e 2, di tale regolamento, la competenza passa automaticamente allo Stato membro richiedente, senza che sia necessario che lo Stato membro competente rifiuti di prendere o riprendere in carico l’interessato. Inoltre, la Corte precisa che, anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, il richiedente protezione internazionale deve poter disporre di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di far valere la scadenza del termine di sei mesi intervenuta successivamente all’adozione della decisione di trasferimento. Il diritto, che una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale riconosce a un tale richiedente, di invocare circostanze successive all’adozione di tale decisione, nell’ambito di un ricorso diretto contro la medesima, soddisfa tale obbligo di prevedere un mezzo di ricorso effettivo e rapido.
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Commissione Recommendation (EU) 2017/1803 of 3 October 2017, on enhancing legal pathways for persons in need of international protection
Raccomandazione (UE) 2017/1803 della Commissione del 3 ottobre 2017, sul rafforzamento dei percorsi legali per le persone bisognose di protezione internazionale
La Commissione raccomanda tutti gli Stati membri a provvedere al reinsediamento di persone bisognose di protezione internazionale per adempiere gli impegni assunti attraverso i programmi di reinsediamento, in stretta cooperazione con l'UNHCR e con il sostegno dell'EASO.
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Commission Recommendation (EU) 2017/1804 of 3 October 2017, on the implementation of the provisions of the Schengen Borders Code on temporary reintroduction of border control at internal borders in the Schengen area
Raccomandazione (UE) 2017/1804 della Commissione del 3 ottobre 2017, relativa all’attuazione delle disposizioni del codice frontiere Schengen sul ripristino temporaneo dei controlli di frontiera alle frontiere interne dello spazio Schengen
La Raccomandazione, volta alla corretta attuazione del Codice frontiere Schengen sul ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne da parte di tutti gli Stati Schengen vincolati dal titolo III del Regolamento (UE) 2016/399, è articolata in tre punti: limitare l’impatto sulla libera circolazione; responsabilità condivisa e cooperazione; ricorso a misure alternative.
SETTEMBRE 2017
Judgment of the Court (Second Chamber) 27 September 2017
(Puškár v. Finančné riaditeľstvo Slovenskej republiky e Kriminálny úrad finančnej správy, case C‑73/16)
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 27 settembre 2017
(Puškár c. Finančné riaditeľstvo Slovenskej republiky e Kriminálny úrad finančnej správy, causa C‑73/16)
La Corte ha chiarito, in via pregiudiziale, che la corretta interpretazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osti all’applicabilità di una normativa nazionale che subordini, al previo esaurimento dei rimedi di diritto amministrativo, l’esperibilità dei ricorsi propriamente giurisdizionali da parte di quanti sostengano la violazione del proprio diritto alla tutela dei dati personali, garantito dalla direttiva 95/46/CE; tanto a condizione che le modalità concrete di esercizio dei detti rimedi amministrativi non finiscano per minare l’effettività del ricorso, richiedendosi, in particolare, che la condizione del previo esperimento di cui s’è detto non comporti un ritardo sostanziale per l’accesso alla tutela giurisdizionale, non imponga costi eccessivi a carico del soggetto interessato e determini la sospensione del decorso della prescrizione. La Corte ha sancito altresì, nella sentenza in commento, che l’applicazione dell’art. 7, lett. e), della direttiva summenzionata, non osti al trattamento dei dati personali, concretantesi in particolare nella redazione di un elenco di persone sospettate di fungere da “prestanomi”, senza il consenso delle persone stesse, da parte delle autorità di uno Stato membro incaricate della riscossione delle imposte e della lotta alla frode fiscale, a condizione che tali autorità siano state investite, dalla legge, di compiti di interesse pubblico quali quelli menzionati, che misure del genere risultino effettivamente idonee e necessarie al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, che sussistano elementi sufficienti per presumere che le persone interessate figurino a ragione in tale elenco nonché, in ogni caso, che siano soddisfatte tutte le condizioni di liceità imposte dalla direttiva 95/46 per il trattamento dei dati.
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Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 14 settembre 2017
(Ovidiu-Mihăiță Petrea c. Ypourgos Esoterikon kai Dioikitikis Anasygrotisis, causa C‑184/16)
Pronunciandosi sull’interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 2004/38/CE, la Corte afferma che il principio della tutela del legittimo affidamento non impedisce che uno Stato membro, da un lato, ritiri un attestato d’iscrizione erroneamente rilasciato ad un cittadino dell’Unione europea che era ancora oggetto di un divieto d’ingresso nel territorio e, dall’altro lato, assuma nei suoi confronti un provvedimento di allontanamento, basato sulla mera constatazione che il provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio era ancora in vigore. Inoltre, il provvedimento di rimpatrio di un cittadino dell’Unione europea, può essere adottata dalle stesse autorità ed in base alla stessa procedura seguita per il provvedimento di rimpatrio del cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, qualora siano applicate le misure di recepimento della direttiva 2004/38 più favorevoli a detto cittadino dell’Unione.
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Judgment of the Court (Fourth Chamber) 14 September 2017
(K. v. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, case C-18/16)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 14 settembre 2017
(K. c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C‑18/16)
La Corte si pronuncia sulla validità dell’articolo 8, par. 3, primo comma, lettere a) e b), della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (in ordine al trattenimento di questi ultimi), ritenendola conforme all’articolo 6 e all’articolo 52, parr. 1 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
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Judment of the Court (Third Chamber) 13 September 2017
(Mohammad Khir Amayry v. Migrationsverket, case C-60/16)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 13 settembre 2017
(Mohammad Khir Amayry c. Migrationsverket, causa C‑60/16)
Nel caso in cui il trattenimento di un richiedente protezione internazionale inizi dopo che lo Stato membro richiesto ha accettato la richiesta di presa in carico, detto trattenimento può essere mantenuto per un periodo massimo di due mesi, purché, da un lato, la durata del trattenimento non superi il tempo necessario per la procedura di trasferimento, valutato tenendo conto delle esigenze concrete della menzionata procedura in ciascun caso specifico, e, dall’altro, eventualmente, tale durata non si prolunghi per un periodo superiore a sei settimane a partire dalla data in cui il ricorso o la revisione non ha più effetto sospensivo. In tal senso la Corte interpreta il Regolamento Dublino III alla luce dell’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE ritenendo, tra l’altro, che esso osti a una normativa nazionale che permette, in una situazione come quella rappresentata, di mantenere il trattenimento per tre o dodici mesi nel corso dei quali il trasferimento poteva validamente essere effettuato.
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Judgmebt of the Court (Grand Chamber) 6 September 2017
(Slovak Republic and Hungary v. Coucil of the European Union, joined cases C-643/15 and C-647/15)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 6 settembre 2017
(Repubblica slovacca e Ungheria c. Consiglio dell’Unione europea, cause riunite C‑643/15 e C‑647/15)
La Corte si pronuncia nel senso della validità della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che ha istituito misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, rigettando il ricorso presentato dalla Repubblica slovacca e Ungheria con il sostegno della Polonia.
AGOSTO 2017
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
LUGLIO 2017
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 luglio 2017
(Tsegezab Mengesteab c. Bundesrepublik Deutschland, causa C‑670/16)
La Corte di giustizia afferma la possibilità per un richiedente protezione internazionale di invocare, nell’ambito di un ricorso esercitato contro una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, la scadenza del termine di tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale. Una richiesta di presa in carico, ai sensi dell’art. 21, par. 1 del Regolamento Dublino III non può essere validamente formulata da uno Stato membro una volta decorsi tre mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale. Infine, la Corte precisa che una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando l’autorità preposta all’esecuzione degli obblighi derivanti da tale regolamento riceve un documento scritto, redatto da un’autorità pubblica e in cui si certifica che un cittadino di paese terzo ha chiesto protezione internazionale e, eventualmente, quando la suddetta autorità preposta riceve le sole informazioni principali contenute in un documento del genere, ma non il documento stesso o la sua copia.
Sentenze della Corte (Grande Sezione) del 26 luglio 2017
(A.S. c. Repubblica di Slovenia, C-490/16 e C-646/16, Khadija Jafari e Zainab Jafari)
Le due sentenze chiariscono che la nozione di «attraversamento irregolare di una frontiera» prevista dal Regolamento Dublino III ricomprende anche la situazione in cui uno Stato membro ammetta nel proprio territorio cittadini di un paese non UE invocando ragioni umanitarie e derogando ai requisiti di ingresso in linea di principio imposti ai cittadini di paesi non UE: la circostanza che l’attraversamento della frontiera abbia avuto luogo in occasione dell’arrivo di un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi non UE intenzionati ad ottenere una protezione internazionale non è determinante. Di conseguenza, la Croazia è competente ad esaminare le domande di protezione internazionale delle persone che hanno attraversato in massa la sua frontiera in occasione della crisi migratoria del 2015-2016.
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 26 luglio 2017
(Moussa Sacko c. Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione internazionale di Milano, causa C‑348/16)
Lette alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, le disposizioni della direttiva procedure (2013/32/UE) non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente. Ciò allorquando le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza della decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva.
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 26 luglio 2017
(Mossa Ouhrami, causa C‑225/16)
L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva rimpatri (2008/115/CE) va interpretato nel senso che la durata del divieto d’ingresso prevista in tale disposizione, che non supera di norma i cinque anni, dev’essere calcolata a decorrere dalla data in cui l’interessato ha effettivamente lasciato il territorio degli Stati membri.
Parere 1/15 della Corte (Grande Sezione) del 26 luglio 2017
La Corte esprime il suo parere negativo sull’accordo sul trasferimento dei dati del codice di prenotazione (PNR), previsto tra l’Unione europea e il Canada, ritenendo che non possa essere concluso nella sua forma attuale, atteso la contrarietà di alcune disposizioni del progetto di accordo agli obblighi derivanti dai diritti fondamentali dell’Unione.
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 13 luglio 2017.
(E c. Subdelegación del Gobierno en Álava, causa C‑193/16)
Nell’interpretare l’art. 27, par. 2, comma 2, della direttiva 2004/38/CE la Corte afferma che il fatto che una persona si trovi in stato di detenzione al momento dell’adozione della decisione di allontanamento, senza prospettive di liberazione in un prossimo futuro, non esclude che il suo comportamento rappresenti, eventualmente, per un interesse fondamentale della società dello Stato membro ospitante, una minaccia dal carattere reale ed attuale.
GIUGNO 2017
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) dell’8 giugno 2017
(causa C 541/15, Mircea Florian Freitag ed altri c. Oberbürgermeister der Stadt Wuppertal)
Nella sentenza in commento, la Corte ha statuito, in via pregiudiziale, che la corretta interpretazione dell’articolo 21 TFUE (norma la quale, per orientamento granitico dello stesso Giudice dell’Unione, non si limita ad attribuire il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ma sancisce pure il divieto di qualsivoglia discriminazione basata sulla cittadinanza) osti a che le autorità di uno stato membro rifiutino di riconoscere e di trascrivere nel registro dello stato civile il nome, corrispondente peraltro a quello di nascita, legalmente (ri-)ottenuto da un cittadino di tale Stato membro in un altro Stato membro, di cui egli parimenti possieda la cittadinanza, sulla base di una disposizione del diritto nazionale che subordini la trascrivibilità alla condizione che tale nome sia stato acquisito durante un periodo di residenza abituale nell’altro Stato membro interessato; tanto, hanno precisato i Giudici di Lussemburgo, a meno che il diritto nazionale non contempli altre disposizioni che consentano di ottenere il riconoscimento di detto nome (così come invero è stato segnalato, nel caso di specie, dal governo tedesco, sulla base di una norma ispirata dall’esigenza di eliminare una divergenza di cognomi in relazione ai cittadini tedeschi aventi doppia cittadinanza).
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 21 giugno 2017
(causa C 9/16, A)
La Corte ha statuito che l’articolo 67, paragrafo 2, TFUE, e gli articoli 20 e 21 del c.d. “codice frontiere Schengen” (regolamento 562/2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, come modificato dal regolamento n. 610/2013), debbano essere interpretati nel senso che ostino all’applicazione di una normativa nazionale che attribuisca alle autorità di polizia dello Stato membro interessato la competenza a controllare l’identità di qualunque persona, in una zona di 30 chilometri a partire dalla frontiera terrestre di tale Stato membro con altri Stati aderenti alla convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, allo scopo di prevenire od impedire l’ingresso od il soggiorno illegale nel proprio territorio o di prevenire determinati reati contro la sicurezza delle frontiere, indipendentemente dal comportamento della persona interessata o dall’esistenza di circostanze particolari, a meno che tale normativa preveda la necessaria delimitazione di tale competenza, garantendo che l’esercizio pratico della stessa non possa avere un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. La Corte ha invece escluso che la corretta interpretazione delle norme sopra evocate contrasti con una normativa nazionale che permetta alle autorità di polizia dello Stato membro interessato di effettuare, a bordo dei treni e negli impianti ferroviari di tale Stato membro, controlli dell’identità o dei documenti che consentono di attraversare la frontiera, nonché di fermare per breve tempo e d’interrogare qualunque persona per questo scopo, qualora tali controlli siano fondati su informazioni concrete o sull’esperienza della polizia di frontiera, a condizione che il diritto nazionale assoggetti l’esercizio dei detti controlli a precisazioni e limitazioni che ne indichino l’intensità, la frequenza e la selettività, circostanza anch’essa il cui accertamento spetta al giudice del rinvio.
Sentenza della Corte (Settima Sezione) del 21 giugno 2017
(causa C 449/16, Kerly Del Rosario Martinez Silva c. Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e Comune di Genova)
Nell’arresto in questione, in risposta allo specifico quesito pregiudiziale ad essa rivolto, la Corte ha chiarito che la direttiva 98/2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consenta ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e ad un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornino regolarmente in uno Stato membro, osta all’applicabilità di una normativa nazionale che escluda il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, dal beneficio di una prestazione quale l’assegno a favore dei nuclei familiari con almeno tre figli minori, istituito dalla legge del 23 dicembre 1998, n. 448. Tanto sulla base dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva succitata, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della medesima, e quindi del principio della parità di trattamento a favore dei cittadini di paesi terzi che siano stati ammessi in uno Stato membro, a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, a fini lavorativi, non avendo lo Stato italiano «chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi» della facoltà, prevista dall’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), primo comma, della direttiva stessa, di limitare i diritti conferiti dal richiamato articolo 12, paragrafo 1, lettera e), ai lavoratori di paesi terzi che non svolgano od abbiano svolto un’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e siano registrati come disoccupati, ovvero che siano stati autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, che siano stati ammessi in tale territorio a scopo di studio ovvero infine ai cittadini di paesi terzi cui è ivi consentito lavorare in forza di un visto.
MAGGIO 2017
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 10 maggio 2017
(H. C. Chavez‑Vilchez e a. c. Raad van bestuur van de Sociale verzekeringsbank e a., causa C-133/15)
Ai fini della valutazione della privazione del “godimento effettivo del contenuto essenziale” dei diritti conferiti dall’art. 20 del TFUE ad un minore cittadino dell’UE, va effettuata una valutazione della relazione esistente tra il genitore cittadino di un paese terzo – del quale si discute sul riconoscimento di un diritto di soggiorno in uno Stato membro dell’UE – non essendo di per sé sufficiente la considerazione che l’altro genitore, cittadino dell’UE, sia realmente capace e disposto ad assumersi l’onere del minore. Infatti, siffatta deve essere fondata sulla presa in considerazione, nell’interesse superiore del minore, dell’insieme delle circostanze del caso di specie, e, segnatamente, dell’età del minore, del suo sviluppo fisico ed emotivo, dell’intensità della sua relazione affettiva sia con il genitore cittadino dell’Unione sia con il genitore cittadino di un paese terzo, nonché del rischio che la separazione da quest’ultimo comporterebbe per l’equilibrio del minore stesso.
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Relazione 2016 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bruxelles, 18.5.2017, COM(2017) 239 final
Attraverso la Relazione annuale la Commissione europea, pur evidenziando le “gravi minacce” che attentano ai diritti fondamentali, rinnova il suo impegno a vigilare affinché sia garantito un livello elevato di protezione degli stessi diritti fondamentali propugnati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Decisione (UE) 2017/866 del Consiglio dell'11 maggio 2017 relativa alla firma, a nome dell'Unione europea, della convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica per quanto riguarda l'asilo e il non-respingimento
Con la decisione de qua viene autorizzata, a nome dell'Unione europea, la firma della convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica per quanto riguarda l'asilo e il non-respingimento.
APRILE 2017
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 4 aprile 2017
(Sahar Fahimian c. Bundesrepublik Deutschland, causa C-544/15)
Nell’interpretare la direttiva 2004/114 in merito alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, la Corte afferma che le autorità nazionali dispongono di un ampio margine di valutazione dei fatti nel verificare, sulla base del complesso degli elementi rilevanti che caratterizzano la situazione del cittadino di un paese terzo, richiedente un visto per motivi di studio, se questi rappresenti una minaccia, anche soltanto potenziale, per la sicurezza pubblica. Esse possono, pertanto, nel caso di specie, per ragioni di sicurezza pubblica, rifiutarsi di rilasciare ad una cittadina iraniana laureata presso un’università colpita da misure restrittive un visto per motivi di studio in un settore delicato quale la sicurezza delle tecnologie dell’informazione.
MARZO 2017
Corte di giustizia (Seconda Sezione), sentenza del 15 marzo 2017
(causa C‑528/15, Policie ČR,Krajské ředitelství policie Ústeckého kraje, odbor cizinecké policie, c. Salah Al Chodor, Ajlin Al Chodor, Ajvar Al Chodor)
Discutendosi, nella fattispecie, di misure di trattenimento disposte a carico di soggetti richiedenti asilo, rilevanti ai sensi del c.d. regolamento Dublino III, recante n. 604/2013, che stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, la Corte ha sancito che l’articolo 2, lettera n), e l’articolo 28, paragrafo 2, del medesimo regolamento, letti nel loro combinato disposto, debbano essere interpretati nel senso che la mera assenza, nella legislazione dello Stato membro interessato, di una norma vincolante di portata generale che detti i criteri obiettivi su cui si fondino gli elementi di valutazione del rischio di fuga del richiedente, sì da giustificarne il trattenimento, determini l’inapplicabilità del richiamato articolo 28, par. 2, con conseguente accertamento dell’illegittimità del trattenimento stesso. Secondo i Giudici di Lussemburgo, infatti, la sola giurisprudenza interna, sia pur consolidata, che si limiti a sancire una prassi costante della polizia per gli stranieri, non può essere considerata affatto sufficiente allo scopo; l’adozione di norme di portata generale offre invece le garanzie necessarie, delimitando in modo cogente, oltre che noto in anticipo, la discrezionalità delle autorità nella valutazione delle circostanze di ciascun caso concreto.
Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza del 7 marzo 2017
(causa C‑638/16 PPU, X e X c. État belge)
La Corte ha chiarito, chiudendo la procedura pregiudiziale d’urgenza in intestazione, che il codice comunitario dei visti, di cui al regolamento n. 810/2009, come modificato dal regolamento n. 610/2013, non risulti applicabile all’ipotesi in cui, sulla base dell’articolo 25 del codice in parola, un cittadino di un pase terzo presenti, per motivi umanitari, una domanda di visto con validità territoriale limitata, presso la rappresentanza dello Stato membro di destinazione situata nel territorio di un paese terzo, con l’intenzione di presentare poi, all’arrivo nello Stato membro suddetto, una domanda di protezione internazionale (e, pertanto, allo scopo di poter soggiornare nel detto Stato membro più di 90 giorni su un periodo di 180 giorni): allo stato attuale, secondo i Giudici dell’Unione, la descritta fattispecie rientra infatti unicamente nell’ambito d’applicazione del diritto nazionale. Una diversa opzione comporterebbe tra l’altro, per espressa affermazione della Corte, «che gli Stati membri sarebbero tenuti, sulla base del codice dei visti, a consentire, di fatto, a cittadini di paesi terzi di presentare una domanda di protezione internazionale presso rappresentanze degli Stati membri situate nel territorio di un paese terzo», laddove invece «il codice dei visti non è finalizzato ad armonizzare le normative degli Stati membri relative alla protezione internazionale».
FEBBRAIO 2017
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 16 febbraio 2017
(causa C‑578/16 PPU, C. K., H. F. ed A. S. c. Republika Slovenija)
Nella sentenza in commento, resa a conclusione di un procedimento pregiudiziale d’urgenza, la Corte ha chiarito che l’articolo 17, par. 1, del regolamento n. 604 del 2013 (c.d. Dublino III), che stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, debba essere interpretato nel senso che la questione della definizione delle clausole discrezionali ivi previste esuli dal diritto nazionale e dall’interpretazione che di essa sia stata resa dalla giurisdizione costituzionale dello Stato medesimo, costituendo al contrario una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Nell’occasione, i Giudici di Lussemburgo hanno sancito anche che l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, interpretato alla luce delle disposizioni del richiamato regolamento, postuli come, anche in assenza di seri motivi che inducano a ritenere la sussistenza di carenze sistemiche nello Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo, non possa comunque procedersi al trasferimento del richiedente laddove esista il rischio reale ed accertato che egli sarebbe sottoposto ad un trattamento inumano o degradante. Inoltre, secondo la Corte, alla luce delle circostanze del caso concreto, è pienamente equiparabile all’ipotesi del pericolo di trattamenti inumani e degradanti il caso del richiedente che, essendo affetto da una malattia mentale o fisica di particolare gravità, rischi un peggioramento significativo ed irreversibile delle sue condizioni di salute. Spetta poi alle autorità dello Stato membro competenti ad effettuare il trasferimento e, se del caso, alla sua magistratura, il compito di rimuovere ogni dubbio in merito all’impatto che il trasferimento stesso possa avere sulle condizioni della persona interessata, prendendo all’uopo tutte le necessarie precauzioni, se del caso sospendendo l’esecuzione del trasferimento di cui si discute. In particolare, laddove non possa prevedersi a breve termine un miglioramento delle condizioni di salute del soggetto, così come nel caso in cui la sospensione della procedura possa comunque aggravare il suo stato, il Paese membro richiedente potrà scegliere di esaminare esso stesso la domanda, facendo uso proprio della “clausola discrezionale” di cui all’articolo 17, par. 1, del regolamento n. 604 del 2013, norma dalla quale non discende tuttavia un obbligo in questo senso.
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 9 febbraio 2017
(causa C‑560/14, M c. Minister for Justice and Equality, Ireland)
La Corte ha sancito, in via pregiudiziale, che il diritto di essere ascoltati, rilevante ai sensi della direttiva n. 83 del 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi od apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, non esiga, in linea di principio, che, qualora una normativa nazionale preveda due procedimenti distinti, l’uno successivo all’altro, per l’esame, rispettivamente, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della domanda di protezione sussidiaria, il richiedente la protezione sussidiaria benefici del diritto ad un colloquio orale concernente la sua domanda e del diritto di chiamare testimoni o di procedere in contraddittorio al relativo esame nel corso di tale colloquio. È richiesta tuttavia agli Stati membri l’organizzazione di un colloquio orale qualora le circostanze specifiche del caso, ed in particolare gli elementi concreti di cui l’autorità competente disponga all’uopo oppure la situazione personale o generale riguardante il merito della domanda, rendano necessario tale colloquio al fine di esaminare con piena cognizione di causa la richiesta, il che dev’essere verificato dal giudice del rinvio.
GENNAIO 2017
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 31 gennaio 2017
(Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides c. Mostafa Lounani, causa C‑573/14)
Secondo l’interpretazione fornita dalla Grande Sezione, l’esclusione dello status di rifugiato prevista dalla direttiva 2004/83/CE non è limitata agli autori diretti di atti di terrorismo, ma può anche estendersi a soggetti che svolgono attività di reclutamento, organizzazione, trasporto o equipaggiamento a favore di individui che si recano in uno Stato diverso dal loro Stato di residenza o di cui hanno la cittadinanza allo scopo, segnatamente, di commettere, organizzare o preparare atti di terrorismo. Ai fini della valutazione individuale dei fatti operata dagli Stati membri, particolare rilievo deve essere accordato alla circostanza che la persona sia stata condannata dai giudici di uno Stato membro per partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, al pari dell’accertamento che detta persona era membro dirigente di tale gruppo, senza che sia necessario stabilire che tale persona abbia essa stessa istigato la commissione di un atto di terrorismo o che vi abbia altrimenti concorso.
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Rafforzare i diritti dei cittadini in un'Unione di cambiamento democratico Relazione sulla cittadinanza dell'UE 2017, Bruxelles, 24.1.207, COM/2017/030 final
La Commissione fa il punto sui progressi compiuti in linea con le sue priorità politiche relative a occupazione, crescita, equità e cambiamento democratico. La relazione indica le principali iniziative intraprese dal 2014 ad oggi per promuovere e rafforzare la cittadinanza europea e presenta proposte concrete per realizzarne le priorità principali volte a incentivare, proteggere e rafforzare i diritti di cittadinanza dell’UE.
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni ai sensi dell’art. 25 TFUE, sui progressi verso l'effettiva cittadinanza dell'UE 2013-2016, Bruxelles, 24.1.2017,COM/2017/032 final
Ai sensi dell’art. 25 TFUE, la Commissione esamina l’applicazione delle disposizioni riguardanti la parte II del TFUE, in particolare: il divieto di discriminazione, la libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni municipali e alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro di residenza, il diritto alla tutela consolare, il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo e il diritto di presentare denunce al Mediatore. Il documento accompagna la relazione del 2016 sulla cittadinanza dell'Unione – Rafforzare i diritti dei cittadini in un'Unione del cambiamento democratico.
Le Istitituzioni europee hanno adottato un nuovo “pacchetto” in materia di “Migrazione e Sicurezza”, in cui rientrano:
Comunicazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Parlamento al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, La migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale Gestire i flussi e salvare vite umane, Bruxelles, 25.1.2017, JOIN(2017) 4 final
La Commissione europea e l’Alto Rappresentante PESC individuano una serie di azioni chiave che riguardano le diverse fasi del flusso migratorio lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Tali azioni rientrano in una strategia globale che focalizza fortemente l’attenzione sulla rotta attraverso la Libia, ma che, per prevenire un’eventuale deviazione delle rotte migratorie ed evitare qualsiasi ripercussione negativa per i paesi vicini, tiene anche conto del più ampio contesto regionale.
Proposta di decisione di esecuzione del Consiglio contenente una raccomandazione a prolungare i controlli temporanei alle frontiere in circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dell’area Schengen Brussels, 25.1.2017, COM(2017) 40 final
La Commissione ha proposto che il Consiglio consenta agli Stati di mantenere i controlli temporanei alle frontiere per altri tre mesi, ai sensi dell’art. 29 del Codice frontiere Schengen.
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sulle attività volte a rendere pienamente operativa la guardia di frontiera e costiera europea, COM(2017) 042 final; Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Quarto rapporto sui progressi compiuti verso un’autentica ed efficace Unione della Sicurezza, Bruxelles, 25.1.2017, COM(2017) 41 final.
DICEMBRE 2016
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 14 dicembre 2016
(causa C‑238/15, Maria do Céu Bragança Linares Verruga ed altri c. Ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche)
Nella sentenza in commento, la Corte ha chiarito, in via pregiudiziale, che la corretta interpretazione degli articoli 45 TFUE e 7, par. 2, reg. n. 492/2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, osti all’applicazione della normativa di uno Stato membro, quale quella controversa nel procedimento principale, la quale, al fine di promuovere l’incremento della percentuale di residenti che siano titolari di un diploma d’istruzione superiore, subordini la concessione di un sussidio economico destinato a favorire il compimento di tali studi da parte degli studenti non residenti al requisito che, alla data della domanda, almeno uno dei genitori abbia lavorato in tale Stato membro per un periodo minimo ed ininterrotto di cinque anni, non prevedendo tuttavia un siffatto requisito a carico degli studenti residenti nel territorio del detto Stato membro.
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 15 dicembre 2016
(cause riunite da C‑401/15 a C‑403/15, Noémie Depesme ed altri c. Ministre de l’Enseignement supérieur et de la Recherche)
Interpellata in via pregiudiziale sulla portata delle medesime norme venute in rilievo nella sentenza relativa alla causa C-238/15, e quindi sugli articoli 45 TFUE e 7, par. 2, reg. n. 492/2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, la Corte ha precisato che le richiamate disposizioni ammettano, in qualità di «figlio di un lavoratore frontaliero», al beneficio dei vantaggi sociali come il finanziamento degli studi, non solo chi abbia un legame di filiazione con il lavoratore in parola, ma altresì il figlio del coniuge o del partner registrato del lavoratore medesimo, laddove sia proprio quest’ultimo a provvedere al suo mantenimento. La valutazione sulla ricorrenza o meno di tale requisito, corrispondente ad una situazione di fatto, spetta secondo la Corte all’amministrazione e, se del caso, ai giudici nazionali, «senza che gli stessi siano tenuti a stabilire le ragioni di detto sostegno né a quantificarne l’entità in modo preciso».
NOVEMBRE 2016
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
OTTOBRE 2016
Regolamento (UE) 2016/1953 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2016 relativo all’istituzione di un documento di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e recante abrogazione della raccomandazione del Consiglio del 30 novembre 1994
Il Regolamento stabilisce un documento di viaggio europeo uniforme per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (documento di viaggio europeo per il rimpatrio), in particolare il formato, le caratteristiche di sicurezza e le specifiche tecniche dello stesso.
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 20 ottobre 2016
(Evelyn Danqua c. Minister for Justice and Equality, Ireland, Attorney General, causa C‑429/15)
La Corte giudica incompatibile con il diritto dell’Unione europea – in particolare con il principio di effettività - una norma procedurale nazionale che assoggetta una domanda volta al riconoscimento dello status di protezione sussidiaria ad un termine di decadenza di quindici giorni lavorativi a decorrere dalla notifica, da parte dell’autorità competente, della possibilità, per il richiedente asilo la cui domanda è stata respinta, di presentare una siffatta domanda. Tenuto conto delle difficoltà che possono presentarsi a siffatti richiedenti a causa, in particolare, della situazione umana e materiale difficile in cui essi possono trovarsi, un tale termine di decadenza risulta essere particolarmente breve e non garantisce, in concreto, a tutti questi richiedenti l’effettiva possibilità di presentare una domanda volta ad ottenere la protezione sussidiaria e, se del caso, ottenere lo status conferito da tale protezione.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) dell’11 ottobre 2016
(Commissione europea c. Repubblica italiana, causa C‑601/14)
In accoglimento del ricorso sollevato dalla Commissione europea, la Repubblica italiana è stata dichiarata inadempiente rispetto all’obbligo in capo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio.
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 6 ottobre 2016
(Paoletti e altri, causa C‑218/15)
Pronunciandosi in relazione ad una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale ordinario di Campobasso, la Corte ha interpretato l’art. 6 TUE e l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel senso che l’adesione della Romania all’UE non impedisce che l’ordinamento italiano infligga una sanzione penale a coloro che, prima di tale adesione, abbiano commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini rumeni.
SETTEMBRE 2016
Sentenze della Corte, Grande Sezione, del 13 settembre 2016
(causa C‑165/14, Alfredo Rendón Marín c. Administración del Estado e causa C-304/14 Secretary of State for the Home Department c. CS)
Le autorità nazionali non possono negare un permesso di soggiorno, automaticamente, per il solo motivo che egli ha precedenti penali, al cittadino di uno Stato terzo, genitore di un minore cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, che è a suo carico e con cui risiede nello Stato membro ospitante, atteso il contrasto con l’articolo 21 del TFUE e con la direttiva 2004/38/CE. La Corte ravvisa altresì un contrasto con l’art. 20 del TFUE qualora il diniego produca la conseguenza di costringere detti minori a lasciare il territorio dell’Unione europea.
Sentenza della Corte, Grande Sezione, del 6 settembre 2016
(causa C‑182/15, Aleksei Petruhhin)
Nella sentenza in questione, la Grande Sezione ha chiarito, in via pregiudiziale, che dagli articoli 18 e 21 TFUE discenda, in capo allo Stato membro al quale venga richiesta, da parte di uno Stato terzo con il quale esso abbia concluso uno specifico accordo a tal fine, l’estradizione di un cittadino di un altro Stato membro, l’obbligo di informare lo Stato membro del quale il predetto soggetto sia cittadino e, se del caso, su domanda di tale Stato membro, di consegnargli il cittadino in questione, conformemente alle disposizioni della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo, purché tuttavia detto Stato membro sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire tale persona per fatti commessi al di fuori del territorio nazionale. Inoltre, secondo la Corte, di fronte a tali fattispecie, lo Stato membro richiesto deve verificare che l’estradizione non recherà pregiudizio ai diritti di cui all’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, senza che sia sufficiente al riguardo la sottoscrizione, da parte del Paese terzo, di dichiarazioni ovvero di trattati internazionali che garantiscano, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali.
AGOSTO 2016
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali.
LUGLIO 2016
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale nell’Unione europea e che sostituisce la Direttiva 2013/32/UE, Brussels, 13 luglio 2016, COM(2016) 467 final e Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, del 13 luglio 2016, COM(2016) 465 final
Le proposte adottate dalla Commissione europea si inseriscono nell’ambito dell’obiettivo di riforma del Sistema comune europeo di asilo.
GIUGNO 2016
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 14 giugno 2016
(Commissione c. Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, causa C- 308/14)
Nel respingere il ricorso della Commissione europea, la Corte ritiene che legittimamente il Regno Unito possa imporre il requisito della regolarità del soggiorno, ulteriore rispetto al solo requisito della residenza abituale previsto dal regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale al fine di conferire ai cittadini di altri Stati membri assegni familiari e crediti d’imposta per i figli a carico. Nonostante tale condizione possa essere considerata quale discriminazione indiretta, tale interpretazione appare giustificata dalla necessità di proteggere le finanze dello Stato membro ospitante.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 7 giugno 2016
(Mehrdad Ghezelbash c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C-63/15)
La tutela giurisdizionale dei richiedenti protezione internazionale (pur sacrificando l’esigenza di celerità nel trattamento delle domande di asilo) induce la Corte a ritenere che un richiedente asilo possa invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione di un criterio di competenza di cui al capo III del regolamento Dublino III (regolamento (UE) n. 604/2013).
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 7 giugno 2016
(George Karim c. Migrationsverket, causa C-155/15)
Ad un cittadino di un paese terzo che, dopo aver presentato una prima domanda di asilo in uno Stato membro, dimostri di essersi allontanato dal territorio degli Stati membri per un periodo di almeno tre mesi, prima di presentare una nuova domanda di asilo in un altro Stato membro, si applica l’articolo 19, par. 2, del Regolamento Dublino III (regolamento (UE) n. 604/2013) che, in particolare stabilisce che la domanda presentata dopo tale periodo di assenza è considerata una nuova domanda e dà inizio a un nuovo procedimento di determinazione dello Stato membro competente (comma 2). La violazione di suddetta disposizione può essere dedotta dal un richiedente asilo, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento, letto alla luce del considerando 19.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 7 giugno 2016
(Sélina Affum c. Préfet du Pas-de-Calais, Procureur général de la cour d’appel de Douai, causa C-47/15)
La direttiva rimpatri (2008/115/CE) trova applicazione anche nelle ipotesi di un cittadino di un paese terzo che transiti in uno Stato membro in quanto passeggero di un autobus, proveniente da un altro Stato membro, appartenente allo spazio Schengen, e diretto in un terzo Stato membro al di fuori di detto spazio. Si configura, pertanto, anche in tale caso un “soggiorno irregolare” nel territorio di detto Stato membro. La suddetta direttiva impedisce che uno Stato membro possa – in conseguenza del mero irregolare ingresso attraverso una frontiera interna, il quale determina il soggiorno irregolare – procedere alla reclusione del cittadino di un paese terzo, nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva stessa. Tale interpretazione vale anche nel caso in cui il cittadino in questione possa essere ripreso da un altro Stato membro, in applicazione di un accordo o di un’intesa ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva medesima.
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 2 giugno 2016
(Nabiel Peter Bogendorff von Wolffersdorff c. Standesamt der Stadt Karlsruhe, Zentraler Juristischer Dienst der Stadt Karlsruhe, causa C‑438/14)
Interpretando l’articolo 21 del TFUE, la Corte ha ritenuto che non sussiste, da parte dell’amministrazione di uno Stato membro, l’obbligo di riconoscere il nome di un cittadino di tale Stato membro qualora questi possieda parimenti la cittadinanza di un altro Stato membro nel quale abbia acquisito tale nome da lui liberamente scelto e contenente vari elementi nobiliari, non ammessi dal diritto del primo Stato membro, laddove sia accertato, che un siffatto diniego di riconoscimento risulta giustificato da motivi connessi all’ordine pubblico, essendo opportuno e necessario per garantire il rispetto del principio di uguaglianza giuridica di tutti i cittadini di detto Stato membro. L’accertamento di tale circostanza spetta al giudice del rinvio.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 2 giugno 2016
(Commissione c. Regno dei Paesi Bassi, causa C‑233/14)
Considerato che il contributo alle spese di trasporto rientra nella nozione di «aiuti di mantenimento agli studi (...) consistenti in borse di studio o prestiti per studenti», di cui all’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE, il Regno dei Paesi Bassi può avvalersi della deroga prevista a tale riguardo al fine di negare la concessione di tale prestazione, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, a persone diverse dai lavoratori subordinati o autonomi, da coloro che hanno mantenuto tale status, o loro familiari.
MAGGIO 2016
Sentenza della Corte (Decima Sezione) del 26 maggio 2016
Nella sentenza in commento, la Corte è stata interrogata, tramite questione pregiudiziale interpretativa, in merito alla compatibilità, col diritto dell’Unione, di una normativa nazionale che riservi la concessione del beneficio del credito d’imposta esclusivamente a chi sia in possesso di un certificato di ritenuta d’imposta; tanto nell’ambito di una controversia promossa avverso il diniego di concessione del beneficio suddetto, opposto ad un cittadino lussemburghese, il quale (avendo in passato usufruito del suo diritto alla libera circolazione ex art. 45 TFUE) era percettore di due pensioni di origine olandese. Orbene, la Corte ha sancito che la corretta interpretazione degli articoli 21 e 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea osti all’applicazione di una normativa tributaria nazionale quale quella venuta in rilievo (e contestata) nel procedimento principale, poiché tale disposizione produce l’effetto di escludere dal beneficio di cui sopra le persone che percepiscano stipendi o pensioni non soggetti ad una ritenuta alla fonte, come le pensioni di origine estera.«una normativa nazionale che svantaggia taluni cittadini di uno Stato per il solo fatto di aver esercitato la propria libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione alle libertà riconosciute dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, a tutti i cittadini dell’Unione»; infatti, secondo giurisprudenza consolidata, le facilitazioni previste dal Trattato in materia di circolazione dei cittadini dell’Unione «non potrebbero dispiegare pienamente i loro effetti se un cittadino di uno Stato membro potesse essere dissuaso dall’avvalersene dagli ostacoli posti al suo soggiorno in un altro Stato membro a causa di una normativa del suo Stato d’origine che lo penalizzi per il solo fatto che egli ne abbia usufruito».
La sesta relazione annuale passa in rassegna le modalità di attuazione della Carta da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri nel 2015, anno caratterizzato da numerose sfide, quali le minacce alla sicurezza, il numero senza precedenti di rifugiati e migranti in arrivo, l'ascesa di populismo e xenofobia. La sezione di approfondimento è dedicata al convegno annuale sui diritti fondamentali del 2015, incentrato sul tema “Tolleranza e rispetto: prevenire e combattere l'odio antisemita e anti-islamico in Europa”.
Operando una rifusione delle direttive 2004/114/CE e 2005/71/CE, la direttiva dell’11 maggio mira a semplificare e razionalizzare in un unico strumento le disposizioni applicabili alle differenti categorie di migranti, tentando di rimediare alle carenze rilevate, di garantire trasparenza e certezza giuridica maggiori e di offrire un quadro giuridico coerente.
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, COM(2016) 270 final; proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, sull’Agenza dell’Unione europea per l’asilo e che abroga il regolamento (UE) n. 239/2010, COM(2016) 271 final; proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, per l’identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è illegale e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, COM(2016) 272 final, Brussels, 4 maggio 2016
Le tre proposte di regolamento, nel dare seguito alla Comunicazione della Commissione, del 4 aprile 2016, COM(2016) 197 final, mirano alla modifica e al rafforzamento del sistema comune europeo di asilo.
APRILE 2016
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Riformare il sistema comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa, Bruxelles, 6 aprile 2016, COM(2016) 197 final
Nell’ambito delle misure adottate a seguito dell’Agenda europea sulla migrazione, la comunicazione della Commissione illustra le iniziative da prendere per rendere la politica di asilo europea più umana, equa ed efficace, individuando 5 priorità. Alla luce delle risposte ricevute alla comunicazione, la Commissione presenterà le proposte appropriate.
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 21 aprile 2016
(Mimoun Khachab c. Subdelegación del Gobierno en Álava, causa C‑558/14)
È compatibile con la direttiva 2003/86/CE, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, la normativa di uno Stato membro che consente di fondare il rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare su una valutazione in prospettiva della probabilità che il soggiornante mantenga oppure no le risorse stabili, regolari e sufficienti di cui deve disporre per mantenere se stesso e i propri familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale di tale Stato membro nel corso dell’anno successivo alla data di presentazione della domanda, valutazione questa che si basa sull’evoluzione dei redditi del soggiornante nel corso dei sei mesi che hanno preceduto tale data.
MARZO 2016
Sentenza della Corte (IV Sezione) del 17 marzo 2016
(causa C-695/15 PPU, Shiraz Baig Mirza c. Bevándorlási és Állampolgársági Hivatal
Nella sentenza in commento, resa al termine di un procedimento pregiudiziale d’urgenza, la Corte ha chiarito che il terzo comma dell’art. 3 del regolamento 2013/604 (cd. Dublino III), che stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, debba essere interpretato nel senso che il diritto di inviare un richiedente protezione internazionale verso un paese terzo sicuro possa essere esercitato anche dopo che lo Stato procedente abbia ammesso di essere responsabile, ai sensi del citato regolamento e nel contesto di una procedura di ripresa in carico, della revisione della domanda di protezione internazionale presentata da un soggetto che abbia lasciato lo Stato membro prima che fosse presa, nel merito, una decisione riguardo alla prima domanda di protezione internazionale. La corretta interpretazione della norma in questione non si oppone inoltre, a parere dei Giudici di Lussemburgo, all’invio di un richiedente protezione internazionale verso un paese terzo sicuro, quando lo Stato che esegua il trasferimento non sia stato informato, nel corso della procedura di ripresa in carico, né della regolamentazione dello Stato di destinazione in merito all’invio dei richiedenti asilo verso paesi terzi sicuri né della prassi delle sue autorità in materia. Infine, la Corte ha chiarito che l’art. 18, secondo paragrafo, del regolamento in questione non impone che, in caso di ripresa in carico, la procedura d’esame debba riprendere dallo stadio in cui era precedentemente stata interrotta.
Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 17 marzo 2016
(causa C 161/15, Abdelhafid Bensada Benallal c. Etat belge)
Nella sentenza in questione, la Corte ha sancito che, qualora un motivo attinente alla violazione del diritto interno sollevato per la prima volta dinanzi al giudice nazionale in un procedimento per cassazione venga considerato ricevibile – conformemente al diritto nazionale applicabile – solo laddove si tratti di un motivo di ordine pubblico, la violazione del diritto di essere ascoltati, come garantito dal diritto dell’Unione, dedotta per la prima volta dinanzi al medesimo giudice, è questione che dev’essere dichiarata ricevibile se ed in quanto tale diritto, come garantito dall’ordinamento nazionale, soddisfi le condizioni previste da detto ordinamento per essere qualificato come motivo di ordine pubblico, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Prima relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento, Bruxelles, 16.03.2016, COM(2016) 165 final
La Commissione fa il punto sulla (non completa) attuazione delle due Decisioni del 14 settembre e del 22 settembre 2015, che hanno istituito misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia, volte al reinsediamento e alla ricollocazione di persone in evidente bisogno di protezione internazionale all’interno dell’UE.
Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen)
Il Regolamento, che detta misure comuni in materia di attraversamento delle frontiere interne da parte delle persone nonché di controllo di frontiera alle frontiere esterne, sostituisce il Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come integrato da successivi atti.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 1° marzo 2016
(cause riunite C 443/14 e C 444/14, rispettivamente Kreis Warendorf c. Ibrahim Alo (C 443/14) e Amira Osso c. Region Hannover)
La Corte, interrogata in via pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva 2011/95, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi od apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, ha chiarito che un obbligo di residenza imposto ai beneficiari dello status di protezione sussidiaria costituisca una restrizione della libertà di circolazione rilevante ai sensi dell’art. 33 della direttiva in questione, anche laddove tale misura non vieti al soggetto interessato di spostarsi liberamente nel territorio dello Stato membro (nel caso di specie, la Germania) che ha concesso la protezione e di soggiornare temporaneamente, nell’ambito di tale territorio, al di fuori del luogo designato con l’obbligo di residenza. Su queste basi, la Corte ha sancito che la corretta interpretazione degli articoli 29 e 33 della direttiva de qua osti a che al beneficiario dello status di protezione sussidiaria, percettore di talune prestazioni sociali specifiche, venga imposto un obbligo di residenza, laddove tale misura sia giustificata dal fine di realizzare un’adeguata ripartizione, tra i diversi enti territoriali competenti in materia, degli oneri derivanti dall’erogazione delle prestazioni, e tuttavia l’imposizione di un obbligo di tal fatta non riguardi anche i rifugiati, i cittadini di paesi terzi legalmente residenti nello Stato membro interessato per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale nonché i cittadini di tale Stato membro i quali pure percepiscano le suddette prestazioni. L’imposizione del prefato obbligo al beneficiario dello status di protezione sussidiaria, percettore di talune prestazioni sociali specifiche, non osta invece alla corretta interpretazione del diritto dell’Unione, qualora una tale previsione persegua l’obiettivo di facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nello Stato membro interessato, di evitare il formarsi di aree socialmente a rischio, pure laddove essa non si applichi ai beneficiari di analoghe prestazioni che siano cittadini di paesi terzi legalmente residenti per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale (il cui diritto di soggiorno è in genere subordinato, nell’ordinamento tedesco, alla condizione che essi siano in grado di provvedere al proprio sostentamento), se e nella misura in cui i beneficiari dello status di protezione sussidiaria non si trovino in una situazione oggettivamente paragonabile, in rapporto all’obiettivo summenzionato, ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti per ragioni diverse da quelle umanitarie, politiche o attinenti al diritto internazionale, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare.
FEBBRAIO 2016
Sentenza della Corte (prima sezione) del 25 febbraio 2016
Consolidando l’orientamento fatto proprio nella pronuncia Dano (11 novembre 2014), la Corte interpreta la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, e l’art. 4 del regolamento n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, nel senso di ritenere che non ostino all’applicabilità della normativa di uno Stato membro in forza della quale i cittadini di un diverso Stato dell’Unione che non godano del diritto di soggiorno, siano esclusi dai benefici di prestazioni assistenziali, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato ospitante.
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 15 febbraio 2015
(J.N. c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, causa C‑601/15 PPU)
La Corte ritiene valida la norma che prevede la possibilità di trattenimento di richiedenti protezione internazionale (articolo 8 paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33/UE (che fissa anche i limiti entro cui procedere al trattenimento) alla luce degli articoli 6 e 52, paragrafi 1 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
GENNAIO 2016
Non vi sono aggiornamenti normativi e giurisprudenziali
GIUGNO 2021
Judgment of the Court (Grand Chamber) of 22 June 2021
(FS v. Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid, in case C‑719/19)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 22 giugno 2021
(FS c. Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid, causa C‑719/19)
L’art. 15, par. 1, della direttiva 2004/38/CE va interpretato nel senso che un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione dal territorio dello Stato membro ospitante, adottato sul fondamento di tale disposizione per il motivo che il medesimo cittadino dell’Unione non beneficia più di un diritto di soggiorno temporaneo in detto territorio in forza della direttiva citata, non è pienamente eseguito per il solo fatto che tale cittadino dell’Unione ha lasciato fisicamente detto territorio nel termine impartito dal provvedimento in parola per la sua partenza volontaria. Per beneficiare di un nuovo diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva nello stesso territorio, il cittadino dell’Unione che è stato oggetto di un siffatto provvedimento di allontanamento deve non soltanto aver lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro ospitante, ma anche aver posto fine in modo reale ed effettivo al suo soggiorno nel territorio di cui trattasi, cosicché, in occasione del suo ritorno in detto territorio, il suo soggiorno non possa essere considerato, in realtà, come una continuazione del suo precedente soggiorno nello stesso territorio. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga nel caso di specie, tenendo conto di tutte le circostanze concrete che caratterizzano la situazione specifica del cittadino dell’Unione interessato. Se da una siffatta verifica risulta che il cittadino dell’Unione non ha posto fine al suo soggiorno temporaneo nel territorio dello Stato membro ospitante in modo reale ed effettivo, tale Stato membro non è tenuto ad adottare un nuovo provvedimento di allontanamento sulla base dei medesimi fatti che hanno dato luogo al provvedimento di allontanamento già adottato nei confronti di suddetto cittadino dell’Unione, ma può basarsi su quest’ultimo provvedimento al fine di obbligare lo stesso a lasciare il suo territorio.
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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 22 June 2021
(Ordre des barreaux francophones et germanophone, Association pour le droit des Étrangers ASBL, Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers ASBL, Ligue des Droits de l’Homme ASBL, Vluchtelingenwerk Vlaanderen ASBL v. Conseil des ministres, in case C‑718/19)
Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 22 giugno 2021
(Ordre des barreaux francophones et germanophone, Association pour le droit des Étrangers ASBL, Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers ASBL, Ligue des Droits de l’Homme ASBL, Vluchtelingenwerk Vlaanderen ASBL c. Conseil des ministres, causa C‑718/19)
Nell’interpretare gli articoli 20 e 21 TFUE e la direttiva 2004/38/CE, la Corte di giustizia ritiene che: - con essi non contrasti una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, in pendenza del termine loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione nei loro confronti di una decisione di allontanamento per motivi di ordine pubblico, o durante il periodo di proroga di tale termine, disposizioni volte ad evitare il rischio di fuga che sono simili a quelle applicate ai cittadini di paesi terzi, in recepimento della direttiva 2008/115/CE, purché non siano meno favorevoli rispetto a queste ultime e rispettino i principi generali previsti all’articolo 27 della direttiva 2004/3; - essi ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, che dopo la scadenza del termine impartito o della proroga di tale termine non si siano conformati a una decisione di allontanamento adottata nei loro confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, una misura di trattenimento ai fini dell’allontanamento della durata massima di otto mesi, durata che è identica a quella applicabile nel diritto nazionale ai cittadini di paesi terzi che non si siano conformati a una decisione di rimpatrio adottata per tali motivi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.
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Judgment of the Court (Fifth Chamber) of 10 June 2021
(Land Oberösterreich v. KV, causa C‑94/20)
Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del’10 giugno 2021
(Land Oberösterreich c. KV, causa C‑94/20)
La direttiva relativa allo status dei soggiornanti di lungo periodo (direttiva 2003/109/CE), in particolare il suo articolo 11, osta - anche qualora si sia fatto uso della facoltà di applicare la deroga prevista dall’articolo 11, paragrafo 4, di tale direttiva - a una normativa di uno Stato membro in forza della quale la concessione di un’indennità di alloggio in favore dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo sia subordinata alla condizione che essi forniscano la prova, secondo modalità determinate da tale normativa, di possedere conoscenze di base nella lingua di detto Stato membro, se tale indennità di alloggio costituisce una «prestazione essenziale». Inoltre, secondo la Corte non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/43/CE (che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica) una normativa di uno Stato membro che si applichi indistintamente a tutti i cittadini di paesi terzi e in forza della quale, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, la concessione di un’indennità di alloggio è subordinata alla condizione che questi ultimi forniscano la prova, secondo modalità determinate da tale normativa, di possedere conoscenze di base nella lingua di tale Stato membro. Infine, qualora ci si sia avvalsi della facoltà di applicare la deroga di cui all’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109, l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non è destinato ad applicarsi in presenza di una legislazione di uno Stato membro in forza della quale la concessione dell’indennità di alloggio, in favore dei soggiornanti di lungo periodo, è subordinata alla condizione che essi forniscano la prova, secondo modalità determinate da tale normativa, di possedere conoscenze di base della lingua di tale Stato membro, se tale indennità di alloggio non costituisce una «prestazione essenziale» ai sensi del summenzionato articolo 11, paragrafo 4. Se detta indennità di alloggio costituisce un servizio essenziale di tal sorta, l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, nella misura in cui vieta ogni discriminazione per motivi di origine etnica, non osta a tale regolamentazione.
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Judgment of the Court (Third Chamber) of 10 June 2021
(LH v. Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid, in case C‑921/19)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 10 giugno 2021
(LH c. Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid, causa C‑921/19)
La Corte ritiene che l’art. 40, par. 2, della direttiva 2013/32/UE (cd. direttiva procedure) in combinato disposto con l’art. 4, par. 2, della direttiva 2011/95/UE (cd. direttiva qualifiche), vada interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale si considera automaticamente che qualsiasi documento prodotto da un richiedente protezione internazionale a sostegno di una domanda reiterata non costituisce un «elemento o risultanza nuovo», ai sensi di tale disposizione, qualora l’autenticità di tale documento non possa essere accertata o la fonte di un siffatto documento non possa essere oggettivamente verificata. Inoltre, ai sensi dell’articolo 40 della direttiva 2013/32, da un lato, la valutazione delle prove addotte a sostegno di una domanda di protezione internazionale non può variare a seconda che si tratti di una prima domanda o di una domanda reiterata e, dall’altro, uno Stato membro è tenuto a cooperare con un richiedente al fine di valutare gli elementi pertinenti della sua domanda reiterata, qualora quest’ultimo produca, a sostegno di tale domanda, documenti la cui autenticità non può essere accertata.
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Judgment of the Court (Third Chamber) of 10 June 2021
(CF, DN v. Bundesrepublik Deutschland, in case C‑901/19)
Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 10 giugno 2021
(CF, DN c. Bundesrepublik Deutschland, causa C‑901/19)
L’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95/UE (cd. direttiva qualifiche) osta all’interpretazione di una normativa nazionale secondo la quale, nel caso in cui un civile non sia interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, l’accertamento dell’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del civile stesso, derivante dalla «violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato», ai sensi di tale disposizione, è subordinato alla condizione che il rapporto tra il numero di vittime nella zona interessata e il numero totale di individui di cui è composta la popolazione di tale zona raggiunga una determinata soglia. Inoltre, per stabilire l’esistenza di una «minaccia grave e individuale» ai sensi di tale disposizione, è richiesto un esame complessivo di tutte le circostanze del caso di specie, in particolare di quelle che caratterizzano la situazione del paese d’origine del richiedente.
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Judgment of the Court (Fourth Chamber) of 3 June 2021
(BZ v. Westerwaldkreis, in case C‑546/19)
Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 3 giugno 2021
(BZ c. Westerwaldkreis, causa C‑546/19)
La direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri) si applica a un divieto di ingresso e di soggiorno, imposto da uno Stato membro, che non si è avvalso della facoltà prevista dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, nei confronti di un cittadino di un paese terzo che si trovi sul suo territorio e sia destinatario di un provvedimento di espulsione, per motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico, sulla base di una precedente condanna penale. Secondo la Corte, inoltre, tale direttiva osta al mantenimento in vigore di un divieto di ingresso e di soggiorno imposto da uno Stato membro a un cittadino di un paese terzo che si trovi sul suo territorio e sia oggetto di un provvedimento di espulsione, divenuto definitivo, adottato per motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico sulla base di una precedente condanna penale, qualora la decisione di rimpatrio adottata nei confronti di tale cittadino dal suddetto Stato membro sia stata revocata, sebbene tale provvedimento di espulsione sia divenuto definitivo.